Iran, nel monte di Fordo esplosione

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Esplosione nel cuore sotterraneo dell’atomica di Teheran. Le voci sullo strike

clandestino di Israele. Con il trasferimento di tutte le centrifughe più avanzate nella montagna di Fordo, quattro mesi fa il programma nucleare iraniano si era spostato ufficialmente sotto terra. Adesso un sabotaggio potrebbe aver messo fuori uso parte della centrale. Lunedì scorso ci sarebbe stata una forte esplosione che ha colpito il sito nucleare, il “sancta sanctorum” del programma iraniano. La notizia dell’esplosione è stata resa pubblica da Hamid Reza Zakeri, ex ministro della Sicurezza iraniano fuggito dal paese due anni fa, e da Reza Kahlili, una ex guardia della rivoluzione riparata negli Stati Uniti, dove ha lavorato per la Cia.

La notizia dell’esplosione è circolata per giorni, senza conferme, mentre il regime iraniano la bollava come “propaganda occidentale”. Fino a ieri, quando il Times di Londra ha pubblicato a tutta pagina: “Israeliani confermano l’esplosione a Fordo”. Poi è stata la volta del più diffuso giornale israeliano, Yedioth Ahronoth, che ha lanciato la notizia dell’incidente in prima pagina e secondo cui si tratterebbe del “più importante sabotaggio al programma nucleare iraniano”.

Ieri il ministro della Difesa israeliano, Avi Dichter, ha detto che “ogni esplosione in Iran che non ferisce la gente ma colpisce le sue attività è la benvenuta”. Poi è intervenuto il ministro degli Affari strategici, Moshe Yaalon, già capo di stato maggiore: “Ogni incidente di questo tipo rallenta il programma nucleare iraniano”.

Sarebbe un colpo micidiale al regime degli ayatollah. Fordo è sorvegliata dalle Guardie della rivoluzione, i centurioni del regime e come è noto sorge cento metri sotto terra, nelle viscere di una montagna. Parlando al Times, ufficiali israeliani si sono rifiutati di confermare le voci sencondo le quali aerei con la stella di David sarebbero stati visti al momento dell’esplosione vicino al sito nucleare. Dal vertice di Davos, in Svizzera, il ministro della Difesa Ehud Barak aveva appena detto che la diplomazia non fermerà i piani di Teheran e si deve essere pronti per “una operazione chirurgica” contro gli ayatollah. A domanda su cosa intendesse di preciso, Barak ha risposto: “Come uno scalpello”.

Lo scorso settembre il New York Times aveva pubblicato un dossier sulle misure che l’Amministrazione Obama era pronta ad adottare per impedire all’Iran di ottenere la bomba nucleare. Si parlava, fra l’altro, di “un programma di attacchi clandestini contro i siti iraniani”. Nei giorni precedenti, erano stati usati esplosivi per tagliare le linee elettriche dalla città di Qom all’impianto per l’arricchimento dell’uranio di Fordo. Secondo il giornalista di Newsweek Eli Lake, l’esercito americano studia dal 2009 il sito di Fordo e avrebbe scoperto un vizio di costruzione che lo rende vulnerabile. Un ufficiale americano che lavora nelle operazioni sull’Iran aveva detto che “sono stati i nostri a farlo”, mentre ufficiali dell’intelligence israeliana, interpellati da Yedioth Ahronoth, affermavano che l’attacco dimostrerebbe che il bunker di Fordo può essere manomesso anche senza le bombe bunker buster in grado di perforare il sottosuolo. Il Sunday Times ha anche rivelato che un dispositivo-spia camuffato da roccia è esploso a Fordo. L’ordigno stava intercettando dati sensibili dei computer della centrale.

Parlando al Foglio, Ron Ben Yishai, analista israeliano di intelligence, dice che è “improbabile” che israeliani siano riusciti a penetrare direttamente nella centrale atomica sotto terra. Ma da giorni si rincorrono dichiarazioni di ufficiali di Gerusalemme sulle principali testate. Ieri, parlando al Daily Telegraph, un dirigente della Sicurezza israeliano ha detto che Fordo non è impenetrabile: “Possiamo entrare in qualsiasi cosa costruita dall’uomo”.

Un cavallo di Troia?

Richard Silverstein, il blogger americano che la scorsa estate aveva pubblicato più o meno realistici piani di attacco israeliani al nucleare iraniano, scrive che l’operazione a Fordo è “una joint venture Israele-Stati Uniti-Mek”. Quest’ultima è la sigla dei Mujaheddin del popolo, il maggiore gruppo di opposizione al regime. Il Foglio