Cura Marchionne per Confindustria

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Il piano utile per il paese (non solo per Fiat) è l’addio al corporativismo. Ieri

l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha presentato i conti del 2012 e inaugurato lo stabilimento di Grugliasco. Lì produrrà auto di lusso Maserati, con un programma ambizioso ma realistico: passare dalle 6 mila auto attuali a 50 mila entro il 2015, il 95 per cento delle quali saranno vendute all’estero usando la rete di distribuzione di Chrysler e di Fiat. Una dimensione, quella globale, che è ormai propria del gruppo. Lo si deduce dal fatto che gli 1,4 miliardi di utile registrato nel 2012 – dato pubblicato ieri e migliore delle attese degli analisti – derivano quasi totalmente da Chrysler. Il Lingotto comunque non distribuirà dividendi, “per prudenza”, e questo ha causato disappunto in Borsa. Grugliasco, però, può essere una buona occasione per Fiat, una sfida che Marchionne considera “un impegno serio” e che può essere vinta. Nello stabilimento piemontese, l’ex Bertone, la produzione Maserati è stata possibile grazie all’adesione dei lavoratori, mediante referendum, al nuovo contratto di produttività che Marchionne ha portato – fra polemiche e ricorsi indetti dalla Fiom-Cgil – in tutti gli stabilimenti italiani del gruppo. A un giornalista che gli chiedeva se ora Fiat Auto intenda tornare nella Confindustria, da cui è uscita per potere attuare tale contratto aziendale, Marchionne ha risposto che non ci pensa nemmeno. In effetti, nonostante il vertice di Confindustria sia cambiato, la sua linea non è mutata affatto rispetto all’epoca in cui Fiat decise di uscirne per realizzare i propri contratti di lavoro flessibili.

Alla base di questo accordo c’è l’accantonamento del principio dell’unità sindacale, proprio invece di un modello neo corporativo nel quale le rappresentanze sindacali aziendali fanno per forza parte dei sindacati più rappresentativi a prescindere dal fatto che abbiano o no firmato il contratto. Nel “modello Marchionne”, invece, fanno parte delle rappresentanze aziendali solo gli esponenti dei sindacati che il contratto l’hanno firmato. Sebbene la Confindustria di Giorgio Squinzi sia favorevole ai contratti aziendali per la produttività, vuole comunque che si realizzino all’interno degli accordi con i sindacati nazionali e che siano “vigilati” dalla Cgil, anche quando non li firma. Per questo Marchionne, che guarda al futuro, non può tornare in una Confindustria che non riesce a sbarazzarsi del vecchio consociativismo. Un punto che mancava nel piano nazionale di Squinzi. Ma, forse, quello più utile. Il Foglio