A Strasburgo vince l’eugenetica

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Respinto il ricorso italiano sull’uso della diagnosi preimpianto.

La Grande Chambre della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha respinto il ricorso con il quale l’Italia, a fine novembre, aveva chiesto il riesame della sentenza con cui la stessa Corte, il 28 agosto, aveva condannato la legge 40 sulla procreazione assistita nella parte in cui non consente la diagnosi genetica preimpianto a una coppia non sterile ma portatrice sana di fibrosi cistica. In pratica, la Corte ribadisce il primo giudizio, con il quale si impone un uso eugenetico della diagnosi preimpianto, espressamente escluso dal legislatore italiano nel formulare la legge sulla fecondazione artificiale. Ricordiamo brevemente i fatti: la fecondazione artificiale, in Italia, è riservata solo alle coppie sterili e non può essere usata per scegliere un figlio sano o malato. I componenti della coppia ricorrente (del tutto in grado di procreare), hanno portato davanti alla Corte dei diritti dell’uomo (saltando anche alcuni gradi di giudizio in Italia) la richiesta di usare la diagnosi preimpianto come sistema per scegliere un embrione sano, indenne dalla fibrosi cistica di cui sono entrambi portatori. Nell’accogliere la loro richiesta, e dunque nel condannare la legge italiana, la sezione della Corte di Strasburgo aveva parlato di incoerenza tra la legislazione sull’aborto (che aveva consentito alla donna di interrompere una precedente gravidanza nel momento in cui aveva scoperto che il feto era affetto da fibrosi cistica) e quella sulla procreazione assistita. Si obiettò allora che, in Italia, la possibilità della donna di abortire non è nella legge, un diritto in sé, ma la deroga al principio della protezione della vita prenatale, possibile solo se la vita o la salute fisica e psichica della madre è a rischio.

La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con la sua decisione di ieri, nega dunque al legislatore italiano il diritto di stabilire – come fa la legge 40 – che ogni indagine clinica su un  embrione deve essere “volta alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso”. E, accogliendo la tesi che il divieto di diagnosi preimpianto per scegliere un embrione sano ed eliminare gli altri vìola il diritto al “rispetto della vita privata e familiare”, impone all’Italia una logica eugenetica. Quotidiano