Il trono papale riformato

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“Non ha mai usato la parola Papa, ma vescovo di Roma”, dice Alain Besançon

Tutto è cambiato da secoli, la chiesa non può restare quella del Concilio di Trento

Alain Besançon, lo storico della Russia, ma anche studioso attento del cristianesimo, ha letto il messaggio di Benedetto XVI in latino, pubblicato sui giornali italiani. Il suo commento inizia dall’esegesi: “Prima osservazione, Benedetto XVI non ha mai pronunciato la parola Papa, ma a proposito della nuova elezione parla di ‘vescovo di Roma’, unico titolo che la chiesa di Roma riserva al Papa, dai tempi di Costantino, quando l’imperatore romano, sovrano pontefice, concesse il proprio titolo al capo della chiesa. Il che è un fatto positivo. Secondo punto, Benedetto XVI è rimasto nei canoni del diritto canonico: è libero, e ha fatto pubblicamente atto di rinuncia. Un Papa che non fosse libero, ma coartato, rinchiuso in prigione, non avrebbe avuto il diritto di dimettersi, inquantoché sarebbe stato costretto a farlo. Altro aspetto imposto dal diritto canonico, la dichiarazione pubblica, ‘in pectu’. Terzo punto, la scadenza delle tre settimane. Il Papa ha annunciato che dalle ore 20 del 28 febbraio il seggio pontificio sarà vacante”. Un annuncio anticipato, insomma? “E qui sta il punto. I ben informati sostengono che Benedetto XVI avrebbe voluto dimettersi subito. Tre settimane è un arco di tempo abbastanza breve ma sufficientemente lungo per tirare fuori scandali, pettegolezzi, voci infamanti. Perciò a me pare una scelta azzardata, o quantomeno rischiosa. Tant’è che per correggerla, Ratzinger il Papa dimissionario, ha subito istituito un Conclave immediato dopo le sue dimissioni, evitando così un Papa ad interim per dominare la vacatio regis”. Il precedente, ricorda Besançon, fu quello di Leone XIII. “Papa Pecci regnò in età avanzata, fino a 93 anni, ma gli ultimi cinque anni del suo pontificato era così debilitato che fu necessario affidare a qualcun altro il governo della chiesa. Dunque, la scelta di Ratzinger oggi mi pare una novità importante. Segna una rottura rispetto ai precedenti, una rottura necessaria per evitare la degenerazione legata all’età avanzata”.

All’epoca di Leone XIII, il papato però non era nel pieno di un ciclone come oggi. “All’epoca di Leone XIII, un secolo fa, il papato era talmente sacro da essere completamente distaccato dalla dimensione funzionale” replica Besançon. “Oggi invece, il Papa della chiesa di Roma si comporta come se fosse il presidente della Fiat o di General Motors, il quale non essendo più in grado di governare il consiglio di amministrazione si dimette, riconoscendo così la dimensione funzionale della sua carica”. E questo, secondo lei, è un danno inferto alla sacralità della monarchia pontificia? “E’ una novità. Il Papa è eletto dallo Spirito Santo, come lo sposo della chiesa universale, e resta legato da quel vincolo indissolubile fino alla morte, perché solo Dio lo può sciogliere con la morte. Ora Benedetto XVI ammette che c’è una funzionalità necessaria alla gestione delle cose. Non è l’idea classica che avevamo del papato. Invece del matrimonio indissolubile tra il Papa, vescovo di Roma, e la sua sposa, la chiesa universale, emerge dalla rinuncia di Benedetto XVI un’idea nuova, funzionale, appunto: me ne vado perché non sono più in grado di gestire le cose, ‘per la mia incapacità di amministrare bene il ministero che mi è stato affidato’, ha detto letteralmente Joseph Ratzinger”.

Quanto al dopo, niente di sicuro: “Non so se un Papa dimissionario resterà cardinale, di certo, per limiti di età, non potrà eleggere il nuovo capo. Benedetto XVI ha detto che si ritirerà in un monastero di suore, meglio morire affidato alle cure delle donne che affidato alle cure dei preti. Ha detto che si ritirerà nella preghiera, e non per finire un libro. Il che di per sé è una cosa buona. Gli unici precedenti risalgono alla notte dei tempi. Celestino V rinunciò al pontificato perché era un eremita e non voleva fare il Papa. Poi venne mandato in carcere dal suo successore, Bonifacio VIII, l’inventore della monarchia pontificale e della teoria cristologica della chiesa, e del doppio corpo del re, mutuata poi dalle monarchie nazionali, come ha spiegato in un libro famoso Ernst H. Kantorowicz. Di fatto, da Gregorio Magno a Bonifacio VIII la storia del papato non ha fatto che crescere, anche se Papa Caetani, contestato da Filippo il Bello, finì per vedere la sua autorità limitata da quella dei principi. Nei secoli, il potere della chiesa di Roma venne gestito dal re di Spagna, dall’imperatore, e la tutela secolare limitava l’autorità spirituale. Questo regime durò fino alla caduta della monarchia di diritto divino, fino alla Rivoluzione francese che emanò la costituzione civile del clero e poi ghigliottinò la testa di Luigi XVI”. Poi però venne la restaurazione di Bonaparte, il re della Rivoluzione… “E a quel punto, paradossalmente, il papato, grazie a Napoleone imperatore, rinacque, perché lo scontro di petto finì per restituire vigore alla chiesa di Roma. Non per niente, caduto Napoleone, il Papa si ritrovò da solo, e il suo potere aumentò fino al Concilio Vaticano I (1869-1870). Il Papa si comportava come vescovo universale, e i vescovi della chiesa invece di essere i successori degli apostoli diventarono i delegati del vescovo universale di Roma”. Questa situazione però durò solo fino al Concilio Vaticano II. “Sì. Il Vaticano II voleva decentralizzare, liberare l’autorità centrale, dissolverla, ma il tentativo non è del tutto riuscito. Giovanni Paolo II era alla testa di una piramide inscalfibile. Il Papa è diventato il capo dei vescovi ai quali è stato restituito il titolo di successori degli apostoli. Ma in Francia, per esempio, abbiamo ancora tre sedi vescovili – Metz, Strasburgo e Nancy – dove i vescovi vengono pagati dallo stato, secondo il vecchio concordato napoleonico rispettato dal Kaiser, quando l’Alsazia passò alla Prussia, e conservato dagli alsaziani, che si rifiutarono di sopprimere i privilegi ecclesiastici, secondo il programma socialista, minacciando di tornare con la Germania. Ora finché era la Repubblica a pagare i vescovi, l’accordo era che la Repubblica aveva la sua voce in capitolo, il nunzio apostolico doveva ottenere il consenso del presidente della Repubblica. Oggi invece vale solo la burocrazia romana. Il Papa di Roma, visto dalla chiesa francese, continua a essere un sovrano assoluto, per questo è facile sostenere che il tentativo del Concilio Vaticano II di decentralizzare, di dissolvere l’autorità centrale di Roma sia in parte fallito”.

C’è pure chi, come l’aroniano liberal-conservatore Jean-Claude Casanova, sostiene che ogni tentativo di decentralizzazione finisce per sfociare in una centralizzazione di segno più forte e contrario. “L’esito del Concilio Vaticano II lo conferma. Benedetto XVI del resto ne era ben cosciente. Non doveva trovarsi a suo agio con la centralizzazione del potere assoluto. Anche per questo, secondo me, nel suo testo di rinuncia, non parla mai di Papa, ma di vescovo di Roma. Quanto al futuro, è difficile dire cosa succederà. Non esiste un successore designato, a parte forse il cardinale Angelo Scola, che il Papa ha nominato arcivescovo di Milano. Il nuovo Pontefice non sarà il successore di Benedetto XVI, ma il successore di san Pietro, stando alla lettera del messaggio di Joseph Ratzinger. In fondo, il papato che noi abbiamo sotto gli occhi è ancora quello nato dal Concilio di Trento, dalla Controriforma cattolica, con la sua piramide di poteri. All’epoca della Controriforma però il re di Francia poteva ancora rifiutarsi di accettare un certo numero di articoli del Concilio di Trento. E in Austria il successore di Maria Teresa imperatrice, Giuseppe II, voleva addirittura rendere i vescovi funzionari di stato. Era l’epoca in cui re settecenteschi intendevano liquidare il papato, e riuscirono addirittura a ottenere lo scioglimento della Compagnia di Gesù. Ma il vero salvatore del papato, insisto, fu Napoleone Bonaparte, che sognava di ricostruire l’impero di Carlo Magno, tant’è che il Papa ebbe un occhio di riguardo per tutte le principesse napoleoniche sul trono di Lucca, o su quello di Roma, come Paolina Borghese…”.

Quanto alle profezie in stile Malachia, o al messianesimo negativo di una finis Europae che agita le coscienze dei laici, scosse dal trono vacante del Papa re, Besançon è troppo scettico per prestarvi fede. “Non credo nella fine del papato, ma non vedo come l’amministrazione vaticana, che in fondo è minuscola, formata da poco più di duemila persone, dunque numericamente pari a quella della sottoprefettura di Béziers, possa restare la stessa come dopo il Concilio di Trento. I cardinali sono in una situazione di rivalità reciproca. La curia romana non ne parliamo… bisogna rileggere Jacob Burckhardt per averne un quadro di lunga durata. Il Concilio di Trento cercò di mettere ordine. Nel Quattrocento i cardinali si mostravano in pubblico con le loro favorite, nel Cinquecento dovettero nasconderle e dal Settecento in poi divennero impeccabili. Che oggi un Papa si dimetta per il bene della chiesa è una novità. Che lo faccia mettendo al primo posto la sua coscienza, è il segno della sua familiarità con la cultura luterana, e soprattutto dell’influenza del teologo anglicano  convertito al cattolicesimo John Henry Newman, uno dei massimi pensatori degli ultimi secoli, studioso della patristica, teologo sopraffino, che ha chiarito la distinzione tra ragione e fede e della tradizione del logos che si perpetua nel cattolicesimo, non a caso beatificato dallo stesso Benedetto XVI nel 2010”.

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