Napolitano accerchiato da pm e Pd

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trinariciuto rischia di non farcela. “Ormai lavora per il successore”, dice

l’amico Macaluso. Bersani cede a Grillo: sì all’arresto di Berlusconi

Pier Luigi Bersani, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, le tre disperazioni d’Italia, tre profili lontani, persino  contrapposti, eppure in queste ore solidali nella comune consapevolezza di essere, ciascuno per ragioni diverse e a modo suo un attore senza sceneggiatura, al centro di un lugubre pasticcio politico. “I tentativi di Napolitano sono ormai solo una premessa per il lavoro del prossimo presidente della Repubblica”, dice con rassegnazione Emanuele Macaluso. Niente governo, il capo dello stato alla sua ultima regia non ce la fa. E così il vecchio amico di Napolitano rende l’idea di quello che succede al Quirinale, prossimo alla scadenza, si intuisce quale sia il mood nel Palazzo indebolito, laddove il presidente allarga le braccia (o forse solleva le braccia?) circondato dalla corazzata di Repubblica, da una falange manettara del Pd che minaccia l’arresto di Berlusconi, dai magistrati che, al suo appello alla “responsabilità”, hanno risposto con una mezza pernacchia, fissando immediatamente quattro udienze consecutive a Milano per il Cavaliere braccato, disperato, poco lucido eppure disponibile ormai a negoziare a qualsiasi prezzo. Il 25 marzo arriva anche la sentenza Ruby, è quasi certo.

Dalla procura di Napoli potrebbe arrivare a stretto giro la richiesta di arresto per la vicenda del senatore De Gregorio, e il Parlamento, dopo il sì di Grillo e del Pd (così ha detto ieri il braccio destro di Bersani, Maurizio Migliavacca) ha una chiara maggioranza per consumare l’inimmaginabile: il berlusconicidio. “I magistrati non sono monadi che veleggiano nell’empireo”, dice Luciano Violante, non lontano dal pensiero del Quirinale che aveva definito “aberrante” l’idea di una rimozione di Berlusconi per via giudiziaria. “Ovviamente come tutti, i magistrati sono immersi nel mondo – dice l’ex presidente della Camera – e non possono ignorare che le loro decisioni hanno delle conseguenze”. E in questo caso le conseguenze sono politiche, l’azione coordinata dei pm e di una parte del Pd, con Grillo, rivela che ogni ipotesi di negoziato, di intese tra i due maggiori partiti, il Pd e il Pdl, è bombardato, e con studiata precisione, malgrado gli sforzi del presidente Napolitano. Così anche Violante insiste: “Quando un magistrato esercita poteri discrezionali ha il dovere di tener conto dell’effetto generale dei suoi atti, o no?”. Siamo alla stretta finale – pensano al Quirinale – domani cominciano le procedure per eleggere i presidenti di Camera e Senato e nulla è chiaro, il Pd offre una Camera a Grillo accontentandosi, in cambio, di qualche sputo e un cestino di insulti. Niente è definito, se non la spaccatura tra una linea di responsabilità e un circo senza briglia che non realizza la governabilità ma che, come dice Daniela Santanchè, “porta Berlusconi in prigione, Prodi al Quirinale e l’Italia a nuove elezioni subito dopo in un contesto disastroso”. E difatti nemmeno Pier Luigi Bersani è allegro o baldante. Chiuso a largo del Nazareno, la sede del Pd, il segretario viene descritto così: “E’ rinserrato in un cerchio di autismo che solo Maurizio Migliavacca riesce a perforare”. Il segretario del Pd, dopo aver perso le elezioni, sta per perdere anche  tutto il resto.

Ed è evidentemente disperato anche lui, Bersani: ha mandato il fedele Migliavacca a trattare con Grillo, e quello, il braccio operativo del segretario, ha repentinamente spostato l’asse del Pd archiviando ogni ipotesi di resipiscenza politica, oltre che di minimo garantismo: voteranno per l’arresto del Cavaliere. “Bersani pensa di conquistare i voti di Grillo in Aula”, sussurra Pippo Civati. Ma gli avversari interni del segretario sorridono di questa idea, e si battono la mano sulla fronte: “Follie naïf! Qua si va solo alle elezioni”. Di prevalenza tacciono pensierosi come Enrico Letta, sostenitore assieme a Francesco Boccia (“Grillo è un fascistoide”) di un ipotesi di governo tecnico o di transizione. Alcuni invece si preparano a prendere il potere, a sostituire Bersani: Matteo Renzi si candida alla leadership, lo ha confermato oggi all’Espresso, “se andremo alle elezioni mi candido io”. E qui Macaluso intravvede l’ultimo spiraglio: “Il prossimo presidente della Repubblica potrà minacciare lo scioglimento delle Camere. A quel punto, di fronte alle urne, nel gruppo di Bersani si porrà un problema”. Il prossimo presidente della Repubblica, dunque. Accerchiato per aver tentato quella che pure Massimo D’Alema chiama ancora “la saggia via del Quirinale”, Napolitano ieri non ha rilasciato nessun commento, ma dal portone sorvegliato dai corazzieri trapela un gravido sentimento di impotenza.

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo