Patrimoniale per tutti.

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 Il nuovo tormentone tedesco per “salvarci”

Saggi merkeliani e stampa convergono: aggredire i patrimoni personali per ridurre i debiti dei paesi del sud

Bruxelles. “Anche i ricchi piangano!”, il celebre slogan coniato da Rifondazione comunista ai tempi del governo Prodi, pare oggi aver fortuna anche tra autorevoli esponenti dell’establishment politico-economico tedesco. La soluzione adottata per la crisi a Cipro, da un lato, e lo studio della Banca centrale europea sulla ricchezza privata negli stati dell’Eurozona, dall’altro, sembrano rappresentare una base sufficiente perché la prospettiva di prelievi forzosi e imposte patrimoniali si materializzi anche in altri paesi in difficoltà. Dopo l’invito all’Italia del capo economista di Commerzbank, Jörg Krämer, a introdurre una imposta patrimoniale sulle attività finanziarie private fissando un’aliquota al 15 per cento, ora è la volta di due esponenti del consiglio dei cosiddetti cinque saggi, l’organo consultivo del governo tedesco per gli affari economici. In un’intervista rilasciata al settimanale Spiegel, Peter Bofinger, economista vicino ai socialdemocratici, ha lanciato un appello affinché nella periferia dell’Eurozona siano finalmente “i ricchi, nell’arco di una decina d’anni, a consegnare parte del proprio patrimonio allo stato”. L’imposta patrimoniale a questo punto non sarebbe più una tantum, come si era udito sussurrare in Italia e all’estero qualche tempo fa, ma dovrebbe servire a “evitare che i ricchi dell’Europa del sud trasferiscano il loro denaro nelle banche del nord”. In altre parole, all’imposta andrebbero associati anche severi controlli sul movimento dei capitali, alla stregua di quanto sta accadendo a Nicosia. Secondo Lars Feld, accademico vicino ai cristiano-democratici, i risultati dello studio della Bce testimonierebbero che l’esecutivo tedesco starebbe andando nella direzione corretta: “Lo studio è la dimostrazione che la Germania ha ragione nell’imporre dure condizioni per la concessione di aiuti”. Di una retorica simile è impregnato l’ultimo numero dello Spiegel che, sulla sua copertina, reca il titolo “La bugia della povertà”. Eloquente anche il sottotitolo: “Come i paesi in crisi nascondono i propri patrimoni”. Non molto diverse appaiono le considerazioni di Guntram Wolff, direttore del think tank economico Bruegel in un recente commento.

“I dati della Bce – scrive Wolff – rendono ancora più chiaro chi dovrebbe davvero pagare per questa crisi”. Poi Wolff rincara la dose e fa propria la proposta elettorale di alcuni socialdemocratici tedeschi. “Anche in Germania i costi della crisi dovrebbero essere assorbiti da chi ha grandi patrimoni, altrimenti il salvataggio europeo continuerà a produrre l’assurda conseguenza che i tedeschi più poveri evitano ai greci più ricchi il pagamento di tasse più elevate”. Perfino Giuliano Amato però, ex premier e oggi “quirinabile”, già autore di uno storico prelievo forzoso sui conti correnti italiani nel 1992, ha scritto sul Sole 24 Ore di domenica che soluzioni nazionali o intergovernative non ci porteranno fuori dalla crisi. La leadership tedesca dovrebbe, secondo Amato, accettare quantomeno un rafforzamento dell’integrazione politica e l’uso del livello europeo per azioni sviluppiste e non pro austerity.

In ogni caso, il prelievo forzoso a Cipro e l’indagine sulla ricchezza coordinata dalla Bce hanno aperto un vaso di Pandora. Secondo l’economista di simpatie socialdemocratiche Bofinger, però, il modello di “prelievo patrimoniale” da lui stesso proposto non avrebbe niente a che fare con il caso cipriota, nel quale sono stati alcuni risparmiatori – non necessariamente ricchi – a pagare per la ristrutturazione delle banche. Della proposta di istituzionalizzare questo meccanismo fatta propria dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e dalla Bundesbank, Bofinger non pare insomma entusiasta. Resta il fatto che, stando sempre allo studio della Bce, a Cipro la ricchezza mediana di ogni cipriota è di circa 267 mila euro, mentre ogni tedesco vanterebbe un patrimonio privato di appena 51 mila euro.

Ecco perché, dice al Foglio Gustav Horn, capo economista della Hans-Böckler Stiftung, fondazione vicina ai sindacati, “in tutti i paesi in crisi avrebbe senz’altro senso adottare una patrimoniale per ridurre almeno il debito pubblico. Ancora più mirate sarebbero però l’imposta di bollo e quella sulle transazioni finanziarie. In caso di crisi bancaria, poi, è giusto che siano i creditori a partecipare alla ristrutturazione. Dopo Cipro è diventato possibile”. A porsi qualche dubbio sulla corretta interpretazione dei dati è stato soltanto l’istituto di ricerca economica Iw di Colonia, che, confrontando i dati relativi a Spagna e Germania, è giunto alla conclusione che sarebbero state paragonate “mele a pere”. Insomma, nemmeno a Berlino sono tutti convinti che la strada da seguire sia quella di far piangere i (supposti) ricchi.

di Giovanni Boggero