L’altra luna del Cav.

Categoria: Firme

Il volto della responsabilità e quello preoccupato del giovane

rivale Renzi. Il governo “forte”

L’idea non convinceva soprattutto Giorgio Napolitano, ma è stato anche Silvio Berlusconi a bloccare Matteo Renzi sulla soglia di Palazzo Chigi. Il giovane sindaco di Firenze è un concorrente, mentre Giuliano Amato, l’altro candidato per la presidenza del Consiglio assieme a Enrico Letta, è un ex craxiano che il Cavaliere aveva pure sponsorizzato per la presidenza della Repubblica. Insomma è vero che Berlusconi affetta sicumera, alimenta il mito della sua invincibilità, sventola sondaggi che danno il Pdl sempre in testa, e ora mostra pure orgoglioso un’ultima rilevazione di Euromedia Research secondo la quale lui batterebbe anche Renzi alle elezioni, tutto vero, ma questo appartiene soprattutto alla rappresentazione, al proscenio, all’aspetto pubblico e illuminato della vicenda. In privato è tutta un’altra musica. Nel momento della verità, quando si tratta di decidere, di fronte ai suoi uomini, il Cavaliere riesce a mostrare il lato debole della luna, così a Palazzo Grazioli l’uomo invincibile rivela le sue debolezze: non solo fa capire a tutta la sua corte di diffidare del ragazzino che un giorno venne a trovarlo ad Arcore, ma dichiara esplicitamente di temerlo. “Se Renzi facesse il premier potrebbe crescere. Noi sosteniamo Amato”. Anche perché con Amato, Roberto Maroni andrebbe “opportunamente all’opposizione” e la presidenza della commissione di Vigilanza Rai, incarico sensibile per Sua Emittenza il Cavaliere, andrebbe “agli amici della Lega”. Resterebbe in casa.

La maschera della responsabilità gli resta ancora incollata sul volto, “serve un governo forte e duraturo”, dice lui alle telecamere, appena uscito dallo studio di Giorgio Napolitano che lo ha chiamato al Quirinale per le consultazioni. Ma poi Berlusconi torna a casa, al Castello, e circondato dalle facce amiche assume il tono della verità, si fa dubbioso, pieno di tormenti: “Forse questo governo è un errore…”. Così non stupisce se tra i suoi pretoriani non c’è troppa voglia di farsi avanti, di proporsi, non c’è nessuno che sgomita (non ancora) per un posto da ministro o da sottosegretario. Poca voglia di entrare al governo e la cosa – va da sé – è abbastanza sospetta, dipende certo anche dalla nebulosità delle trattative e dall’incertezza sul calibro dei nomi che vorrà spendere il Pd, ma solitamente l’assalto per un posto di governo è famelico, mentre stavolta il Cavaliere in persona intende tenere fuori sia Gianni Letta sia Angelino Alfano. L’ala più dura del berlusconismo la mette giù così, dura appunto: “Chi entra in questo governo è morto”.

Oggi Berlusconi vola in America per l’inaugurazione della George Bush Presidential Library, la biblioteca commemorativa della presidenza di George W. Bush, il suo amico ex presidente degli Stati Uniti. Il Cavaliere sarà assente dunque nei giorni in cui il nuovo esecutivo prende forma. L’incarico è previsto per oggi e con tutta probabilità andrà a Giuliano Amato. Ma il dossier, per il Pdl e per conto di Berlusconi, rimarrà saldo nelle fidatissime mani di Gianni Letta, l’ambasciatore infaticabile. “La nostra è una linea di responsabilità”, dice il Cavaliere che pure, di fronte a Schifani, Brunetta, Verdini e Lupi aggiunge delle sfumature di ambiguità a una posizione apparentemente chiara, rivolta alle virtù irrinunciabili della governabilità qui e ora. “Non tradirò mai i miei nove milioni di voti”, è la frase che ormai ripete spessissimo. A giugno si pagherà di nuovo l’Imu? E la Tares che fine farà? Berlusconi  è pronto a far nascere il governo, ma già forse pensa a come farlo cadere, alle tante buone ragioni da spendere di fronte agli elettori. Ma Giorgio Napolitano lo conosce bene il Cavaliere, sa perfettamente di che pasta è fatto quell’uomo dall’intelligenza ribalda e dall’indole cinica e giocosa allo stesso tempo. Così il presidente della Repubblica ha già stipulato un’assicurazione sulla vita, e la durata, del governo. Il presidente si è già garantito con una frase allusiva nel suo discorso di insediamento, lunedì, quando di fronte a un’Aula che molto lo applaudiva, ha fatto riferimento ai partiti dicendo che “se saranno sordi trarrò conseguenze”. Quali conseguenze?

La storia si fa un po’ più evanescente, ma dicono che il presidente ieri sia stato più esplicito che in Aula, sia al telefono con Gianni Letta sia con Berlusconi in persona: “Se mi fate dei problemi, io mi dimetto”. E le dimissioni, senza lo scioglimento delle Camere, implicano la necessità che questo Parlamento rielegga il capo dello stato. A quel punto, è chiaro, non sarebbe più un presidente di garanzia che tranquillizza il Cavaliere. Un incubo che torna a fare capolino.

di Salvatore Merlo   –