Il disagio dell’establishment democratico

Categoria: Firme

che galleggia fra linee rosse e imperativi morali

New York. La conclusione del ragionamento di Julian Borger sul Guardian sintetizza l’insostenibile disagio dell’establishment democratico sulla Siria: “Il caso dell’Iraq ci ha mostrato cosa non dobbiamo fare quando non ci sono prove. Ma non ci indica cosa dovremmo fare nel caso emergano prove incontrovertibili”. Gli editoriali dei grandi giornali liberal americani ed europei traboccano di avversative e di perifrasi cautelative per mitigare l’imbarazzo generato dagli equilibrismi dell’Amministrazione Obama. Nel delicato gioco di pesi e contrappesi ci sono i “diversi gradi di certezza” con cui le sedici agenzie di sicurezza americane attestano che il regime di Bashar el Assad ha usato armi chimiche, la linea rossa fissata dalla Casa Bianca, ma c’è anche la necessità di esorcizzare il passato; c’è la sincera voglia democratica di schierarsi in favore del popolo oppresso e contro il tiranno, ma c’è anche il timore dell’impopolare avventurismo per imporre la democrazia manu militari. Seguire l’imperativo morale che impone di schierarsi dalla parte giusta della storia ha un prezzo, e al momento i propalatori dell’ortodossia democratica non sono disposti a pagarlo. Meglio trincerarsi dietro un “ma anche”, muoversi con cautela sul crinale che divide la cautela dall’inazione, minimizzare le prove sull’uso del gas sarin, prendere tempo, invocare l’Onu e allinearsi all’ambiguità della dottrina Obama.

Il New York Times dice che il presidente si è mosso “prudentemente e in modo appropriato verso un maggiore sostegno ai ribelli”, ma che “saggiamente” non li ha voluti armare direttamente: “Deve continuare così”. Di fronte alle segnalazioni che arrivano da ogni parte su agenti chimici usati dall’esercito di Assad – il “game changer” che secondo il manuale di Obama avrebbe aperto le porte a un intervento diretto – il gran giornale liberal non molla la posizione, scrive che un intervento “potrebbe essere giustificato”, ma servono “prove inconfutabili” e in ogni caso l’America non potrebbe agire da sola. Lo zelo per la causa commendevole si mischia alla riluttanza nell’appoggiare le misure per metterla in pratica. Meglio esercitarsi in un galleggiamento prudente, come fanno anche in Francia il Monde e il Figaro, preoccupati e assertivi quando si tratta di aiuti umanitari e profughi, vaghi quando c’è da stabilire se la linea rossa di Obama è effettivamente rossa oppure è di un rosa così pallido che si può varcare senza conseguenze. Nel qual caso, oltre al problema dei massacri della guerra civile in Siria, la Casa Bianca si troverebbe addosso anche un enorme problema di credibilità. La quantità di report che parlano di armi chimiche è direttamente proporzionale all’insostenibilità della posizione dell’Amministrazione, osservazione espressa dal Los Angeles Times: “Il presidente Obama ha seguìto una politica encomiabile nel rifiutarsi di intervenire nella guerra civile in Siria. Ma se gli Stati Uniti confermeranno che il regime di Assad ha usato armi chimiche, il presidente dovrebbe essere coerente con i richiami fatti l’anno scorso: una condotta del genere da parte di Assad è la ‘linea rossa’ che giustifica un intervento, da soli o con altre nazioni”. Non è un dettaglio di poco conto che il giornale di Los Angeles superi a destra il New York Times, per il quale l’intervento solitario degli Stati Uniti sarebbe fuori discussione anche se Assad varcasse tutte le linee rosse di questo mondo. Segno che il vasto fronte della riluttanza democratica è messo sotto pressione dalla domanda del Guardian: se saltano fuori le prove, che si fa?

di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi