Il paese dove crescono i lamenti

Categoria: Firme

Il cattolicesimo su misura, la sensazione che l’Italia non sia

all’altezza del suo ruolo. Dietro le battute di Schäuble sui problemi “da risolvere da soli” c’è quello che la Germania pensa di noi. Non a torto

E’ difficile comprendere come eventi storici di quasi un secolo fa possano continuare a condizionare i rapporti tra due nazioni. Eppure, se lo scrittore tedesco Veit Heinichen, da molto tempo trapiantato a Trieste, deve cercare le radici dell’attuale contrapposizione italo-tedesca, una ruggine che affiora da qualche guasto più profondo dell’economia, allora d’acchito gli viene in mente il 1915. “Quel cosiddetto voltafaccia italiano, quando il paese mollò la Triplice alleanza per unirsi all’Entente cordiale”, dice al Foglio. Uno sgarbo mai digerito e, ogni volta che se ne presenta l’opportunità, riesumato. Ma per quanto il passato possa non essere mai del tutto passato, per quanto l’Italia ci metta sempre del suo nel rendersi incomprensibile e nel dare l’immagine di un paese che cambia velocemente bandiera e che le sue colpe cerca sempre di trasferirle altrove, Heinichen trova inaccettabili le recenti dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble – che gli italiani smettano di lamentarsi, imparino da Portogallo, Irlanda, Belgio e Olanda, “che non pretendono sempre dagli altri la soluzione dei loro problemi: li risolvono da soli”. Eppure, le battute taglienti di Schäuble a Radio Deutschlandfunk, per ribattere a caldo a Enrico Letta sulla necessità di rinegoziare il rigore in Europa, esprimono una visione che molti in Germania condividono: “Scaricare sugli altri i propri problemi è comprensibile umanamente, e per alcuni la Germania è appropriata nel ruolo, ma è una sciocchezza”. Heinichen trova inaccettabile il tono arrogante, ma non è che per questo assolva l’Italia: “Ecco, assoluzione, è la parola giusta”. L’Italia con il suo cattolicesimo su misura, in cui vale molto più il perdono che l’assunzione di responsabilità, è sempre in cerca di assoluzioni. Eppure sarebbe ora di fare i conti con la realtà. “Una realtà che vede per esempio un Partito democratico nemmeno più sbronzo, ma nei fatti alcolizzato. E dovrà cadere ancora più in basso prima di rendersi conto che deve cambiare radicalmente”. Cita il Pd, perché l’euforia seguita alla vittoria nel suo Friuli adottivo di Debora Serracchiani gli pare assolutamente sproporzionata.

Heinichen lamenta poi un crescente sciovinismo da parte della stampa di entrambi i paesi: “Meglio titoli a effetto per accaparrarsi due lettori in più, anziché analisi approfondite”. La critica è giustificata, ma appena lunedì la Frankfurter Allgemeine pubblicava, a tutta pagina, una interessante analisi sull’Italia di Christiane Liermann, studiosa di storia italiana e referente scientifico del Centro studi italo-tedesco Villa Vigoni. Il titolo, “Conosci il paese dove fioriscono molte cose”, indicava una riflessione più approfondita. Ma la tesi di fondo non era indolore. Liermann partiva dalla sensazione diffusa in Germania che l’Italia, in questo momento, non sia assolutamente all’altezza del ruolo che dovrebbe ricoprire in Europa. Ma è un’accusa fondata? Non è che invece le aspettative nei confronti di questo paese sono da sempre troppo idealizzate e in fondo anche contraddittorie? Perché se da una parte l’Italia agli occhi dei tedeschi ha incarnato per secoli una promessa di evasione, dall’altra la si guardava e giudicava con occhio e metro rigidamente protestante. Dimenticando che dal Concilio di Trento era sì uscita una Controriforma assai moderata. E’ vero, scrive Liermann, l’istinto italiano è storicamente quello di cercare la colpa altrove, in primo luogo nello stato, percepito come un’entità imposta dall’alto e dunque lontana dal popolo. Basta ricordare che lo stato è inteso in senso patriarcale, mentre la chiesa, non a caso “la madre chiesa”, in chiave matriarcale. Ma la predisposizione cattolica al perdono del “povero diavolo”, va a cozzare contro il concetto protestante dell’“ognuno è artefice del proprio destino”.

Verso questi tratti del carattere italiano – la maggior tolleranza, la maggior empatia, il senso della famiglia – Thomas Schmid, direttore editoriale del quotidiano Welt, ha invece espresso ripetutamente la sua simpatia. Oggi però vi ravvisa un istinto “quasi autodistruttivo”. Il suo timore riguarda in primo luogo la classe politica. Al Foglio dice: “E’ come se i politici non avessero memoria, né lontana e nemmeno recente”. Cita un suo pezzo di qualche giorno fa apparso sulla Welt, nel quale lanciava il monito: “L’Italia si sta rovinando con le proprie mani”. Trova assolutamente legittimo che la Germania, per quanto sempre più isolata, non ceda nella sua politica di austerità. “Se così non facesse, non verrebbero mai rispettati i parametri di stabilità, né in Italia, né altrove. E beninteso, nemmeno in Germania”. A chi sostiene che la Germania ha però beneficiato di maggior tolleranza, quando infranse i parametri di Maastricht, Schmid replica: “Gerhard Schröder in cambio si era impegnato ad attuare drastiche riforme dello stato sociale. E ha mantenuto la promessa, pur sapendo che questo gli sarebbe costato la cancelleria”. L’Italia, e i politici italiani, dovrebbero dunque iniziare a chiedersi di chi è la colpa dell’attuale miseria. Ma dovrebbero iniziare a farlo guardando alla propria storia recente.