Il cupio dissolvi del Pd

Categoria: Firme

Meglio morire che cambiare. Il Pd è sempre fermo lì:

in guerra col nemico (che ogni volta spunta illeso) e con lo spettro del padre

"Cupio dissolvi”, una folgorante locuzione latina per la risoluta sprezzatura degna di Seneca e di Tacito, anche se fu san Paolo nella Lettera ai Filippesi a darne una prima gaudiosa versione, indicando il dissolversi degli umani in Cristo. Prese col tempo ben altro e opposto significato, ma rimane un motto che affascina a prima vista, per via di quel cupio che evoca una borgiana cupidigia ma anche i pioppi dei cimiteri, le ombre della notte e il muschio della tomba, atmosfere romane e romantiche con dannunziano trionfo, grazie a quel “dissolvi” plastico e definitivo, per via dell’i finale che non ammette indugi e ritorni d’immagine. Che se il solo pronunciare “cupio dissolvi” suscita piacere, quanto più se lo s’incornicia nel sociale, nel personale, nel sessuale. Inoltre il dissolvi risulta assai più seducente di un’onesta creazione, dal momento che la presuppone: cosa di più voluttuoso del mandare in testarda malora quel che i padri orgogliosamente hanno fatto? Forse solo l’annientare quel che in proprio si è fatto, a dire che se si è Dio si può essere anche Satana, chiudendo così il cerchio del godimento: essere tutto e nulla in una sola persona, quale più perfetta onnipotenza? Dio può credersi tale solo se è pieno di sé ma anche dell’altro.

Tutto ciò, naturalmente, quando si vuol credere, per rispecchiarvisi, che Dio sia un irrefrenabile paranoico, uno che crea gli umani per manipolarli e distruggerli; per distruggersi. Hitler: all’apice del trionfo, l’arroganza e l’ingordigia incontrano il cupio dissolvi. Gli arroganti non ammettono di esserlo, si pensano fin troppo umili, martiri della verità destinati a una missione salvifica di purificazione dal peccato di essere uomini, quel peccato originale che, sottolineando la mancanza, dà via libera al desiderio con tutti i suoi rischi e le sue imperfezioni. Attenzione, però, i nazisti non volevano purificare l’altro, che pure consideravano assai zozzo, quanto purificarsi dall’altro da sé, dalla differenza, annientando tutto ciò che poteva rappresentarla, l’ebreo in primis, l’eletto. Perseguendo questa purificazione, inconsciamente i nazisti puntavano alla propria: il contrappasso dell’omicidio è il suicidio. “I nazisti fecero la guerra per perderla”, scrisse nella sua autobiografia Salvador Dalí, discutibile pittore ma eccezionale psicanalista e, quindi, politologo. I nazisti si suicidarono giorno dopo giorno, deprivandosi di ogni emozione grazie a una scrupolosa anestesia del sentimento: uccidendo si purificarono di ogni umanità. Non si accontentarono di fare i nichilisti da salotto o da bombette scagliate contro gli arciduchi russi, ma radicalmente si annullarono nell’anima e nel corpo; mentre allestivano un grandioso scenario che doveva esaltare l’identità finalmente raggiunta, si spegnevano nel nulla. Per rimediare ricorrevano ad afrodisiaci di ogni sorta, il più efficace dei quali era la magniloquente tetralogia di Wagner, colonna sonora delle camere a gas messa poi al bando da Israele per ragioni più che comprensibili. Ridicole le proteste: dopo Auschwitz la celebrata tetra wagneriana appare insopportabilmente tronfia, per non parlare del truculento libretto. Viva Verdi! E Puccini, naturalmente, che le valchirie avrebbe mandato a battere in Australia.

Se Gabriele D’Annunzio volle schiere di donne che lo accompagnassero nel cocainato ultimo viaggio, adoranti e prone testimoni del suo cupio dissolvi, Adolf Hitler era ancora più pretenzioso e voleva tirarsi dietro tutto il mondo, compresi i suoi cari compatrioti. Ancora negli ultimi giorni pensava che l’altrui sangue potesse vivificarlo e disse che anche i tedeschi era giusto perissero, tutti quanti, poiché non avevano vinto. Qui mentiva spudoratamente. Più ancora che vincere a lui interessava uccidere ebrei, tutti possibilmente, e a questo scopo aveva sacrificato persino la sua strategia bellica e le risorse economiche. Esauriti gli ebrei andavano bene anche gli zingari, i cristiani, i bambini tedeschi che mandò a morire negli ultimi fuochi. Hitler si dissolse in una Berlino spettrale, una macabra versione dello Sturm und Drang tale da suggerire infiniti libri e film sulle sue ultime ore, nonché allucinazioni sulla sua resurrezione, sicché lo si vedeva qua e là passeggiare per il Sudamerica, senza baffetti naturalmente, che quelli poteva appiccicarseli solo una volta a casa, dove piombava tutto tremante per la sifilide e soprattutto per l’epilessia causata dalla perdita d’identità. In cerca dell’identità – la più nefasta delle allucinazioni – aveva distrutto Londra ma non gli inglesi, gente assai refrattaria a dissolversi e cupida semmai di assolversi da certi colonialismi un po’ troppo avidi anche se discretamente benefici. Che Dio fosse inglese i britannici non avevano dubbi, ma era un gentleman, o meglio un gentlegod, e più che il sangue gli piaceva il tè, l’afternoon tea.

Lasciamo gli dèi e i demòni per gli umani troppo umani. Se per celebrare il suo cupio dissolvi Hitler ha avuto bisogno di guerre e stragi in una scenografia apocalittica, al Pd in tutti questi anni per dissolversi è bastato assai meno, si è accontentato di tirare a campare; la novità è troppo arrischiata, implicherebbe nuovi gusti, più forti, i piddini invece hanno preferito il solito, se lambrusco o amarone non importa, l’importante è che sia il solito, quale sia questo solito neppure si ricordano, ma occorre sia il solito. Nella rinuncia alla megalomania e all’onnipotenza i piddini si sono mostrati a tal punto oligomani e impotenti, che quando una piccola congiura di palazzo – quanto provvidenziale! – come quella contro Prodi riesce, il sangue sparso regala un brivido di voluttà. Sangue? Chi immaginava che ce ne fosse ancora una stilla? Eppure ne hanno avute di occasioni i piddini per uscire dai ranghi e tentare qualcosa, ma hanno sempre saputo brillantemente evitarle; solo D’Alema si prese il lusso di bombardare i feroci serbi, e una medaglietta se l’è meritata. Per il resto le bombe sono state tutte dedicate al Cavaliere, e hanno i nomi che un tempo gli americani dipingevano sul culo delle proprie superbombe: Milly, Jenny, Ruby…

Che baldoria a ogni lancio, che tripudio al fuoco d’artificio delle celebri dieci viperine domandine (con risposta inclusa) fervidamente sostenute dal mancato Padre della Patria, Ro-do-tà. Salvo vedere il Cavaliere spuntare illeso e sorridente dalle fiamme: un sospiro di sollievo per i piddini, tolto lui cosa restava? Cosa resta del padre una volta saziato il desiderio del parricidio? Altro che Monte dei Paschi, il Cavaliere costituisce una sinecura a vita e i piddini ci hanno marciato alla grande. Povero Pd, che dopo essersi mutilato della s tagliando corto con l’ingombrante padre comunista, pensava d’essere riuscito a smarcarsi. Quando si vive nella fissazione di dovere a tutti i costi diventare altro dal padre, con il cui spettro mai si è osato davvero e con forza colloquiare, si vive nella sua ombra e senza accorgersene lo si imita nei suoi tic. E gli si trova un assurdo sostituto, una controfigura che si assolda per indirizzare l’odio a buon mercato, il Cavaliere in questo caso. Il Pd è vissuto nell’impotenza, che accanitamente ha contrapposto all’onnipotenza, fonte presunta di ogni scelleratezza e attribuita all’altro. Che il Cavaliere viva in un delirio di onnipotenza è tuttavia da dimostrare: i paranoici non possiedono il suo humor e la sua gioia di vivere. Padri qua, padri là, che ricerca affannosa poveri piddini, nemmeno riescono a eleggerne uno, nessuno gli va bene, è sempre il padre dell’altro, scattano gelosie e rancori, parricidi a gogò. Difficile mettersi in testa che il vero Padre ciascuno lo incontra nel proprio fare, nel proprio cammino. Difficile diventare autori della propria vita.

 Che ridere al pensiero che cercando di uccidere il Cavaliere, il Pd in realtà volesse regolare i conti con quel padre che pubblicamente non ha mai osato condannare. Che comoda svista, che grottesca proiezione. Cosa accomuna nella fantasmatica del Pd l’allegro Cavaliere con il truce Stalin? Nulla, si direbbe, e invece qualcosa c’è: il godimento, l’idea che il padre goda a spese dei figli, quello sfrenato godimento, vero o presunto che sia, che essi intimoriti s’interdicono e che ritrovano soltanto nel fantasticare, appunto, di uccidere il padre. Hanno così inventato un ottimo modo di sfangare la giornata, evitando quel che più temono, quel che contrasta la dissoluzione: la trasformazione. Troppo impegnativa, arrischiata, meglio morire. Come hanno fatto i capi piddini, gente così attaccata alla buona tavola e alla vacanza intelligente, a maturare un simile cupio dissolvi? “Dissolvi” andrebbe sostituito con “marcescendi”. La voluttà di marcire nello status quo è tipica del bimbo durante l’attraversamento della fase anale, quando fare tutt’uno con il temuto vasetto gli pare un modo di proteggersi che nemmeno l’elmetto. Se poi non ama le sorprese, si tiene stretto non solo il vasino ma anche la cacca, in un trattenimento che può durare una vita. L’immagine dei piddini che siedono su vasi da notte di varie taglie non è una delle più eleganti, ma tant’è. Su di essa hanno allestito tutto un giro di benemerenze e di beneficenze, ponendosi a baluardo della difesa della Costituzione, di contro alla prostituzione dilagante, con il risultato di fare della Costituzione una vecchia rimbambita e fin sgradevole, con tutta la gente che dopo aver fatto l’inchino di rito, ma veloce veloce, se ne stava invece a guardare con gaudio, i piddini in prima fila, lo sculettante spettacolo della prostituzione. Si sono masturbati in un voyeurismo che per vent’anni si è esibito in un inesausto delirio erotomanico pari solo a quello che investì Bill Clinton; e non è ancora finito, forse finirà prima il Pd del suo delirio, e vedremo gli ex piddini al tavolo dell’osteria giocare a tressette con le laute pensioni parlamentari intercalando insulti al Cavaliere. La sconfitta, si sa, è nobile, permette di stendersi sul campo di battaglia a prendere la tintarella, con la possibilità di una visita dell’Empereur in persona, che incuriosito si sofferma a guardare come sei bello da morto. Vincere è molto peggio di perdere, tocca costruire edificare organizzare, tocca vivere. Intanto, però, il tressette del Pd ha generato l’antico mostro, il Grillo che incita ad assalire il Parlamento perché la guardia è stanca di aspettare i tempi della democrazia. Con orrore metà piddini si accorgono d’avere ricreato lo spiritato Lenin, mentre l’altra metà gli si butta in braccio.

Berlusconi al posto di Stalin, che trovata geniale! Ma la crisi economica tra le tante rendite di posizione che ha azzerato non ha risparmiato questa, la più vistosa, e in poche ore da oasi di pace e di garante del bon vivre, il Pd si è trasformato in un apocalittico bordello, con tratti di grandiosità visto che l’orgia ha avuto luogo nelle stanze del Quirinale sotto i fari del mondo e persino di Dio, dopo il benedetto intervento della Cei, Papa Francesco navigando lontano dalle cose della politica, dedito ad affermare il valore della carità. Benissimo, ma carità è una parola che bisogna stare attenti, molto attenti, a non confondere con quell’altruismo di cui i comunisti da sempre hanno fatto la loro bandiera, e poi la rendita, legittimando la necessità della propria esistenza in quanto suoi paladini. Per il nostro bene ultimamente ci hanno dato Grasso e Boldrini; volevano, sempre per il nostro bene, darci anche Prodi, ma Satana li ha stoppati. Bersani e Bindi si sono dimissionati per protesta contro la Divina Provvidenza che non ha sostenuto un’opera così pia e al momento del voto ha chiuso gli occhi. Davvero la virtù non paga, si stanno lamentando, abbacchiatissimi.

Dulcis in fundo, la beffa finale. I piddini hanno passato la vita ad additare al pubblico disprezzo il Cavaliere e a loro volta da Grillo vengono additati, messi nello stesso fascio senza alcuna distinzione, carne da macello: a furia di dare addosso al Cavaliere ne sono diventati parte. Qui Grillo qualcosa di forte coglie davvero: il parassitismo rende l’accusatore più odioso dell’accusato, quel Cavaliere con cui Grillo ancora non si misura, rispettoso a suo modo e prudente. Sa d’avere a che fare con l’originale di se stesso, con colui che gli ha insegnato tutto, con il prototipo del buffone rivoluzionario che usa la verve per sputtanare i benpensanti, avendo con sé il popolo dei lavoratori, quelli veri. Grillo ha il popolo del Web, lavoratori virtuali, a confronto dei quali i vituperati statali sono efficienti stakanovisti. Grillo non è il migliore dei grillini, non è nemmeno uno di loro, Grillo è colui che li ha fatti. La sua intelligenza è potente, anche se turbata dall’idea di essere a tempo, in quanto androide. Sa che la battaglia con il suo originale, il Cavaliere, una volta travolto il diaframma del Pd, sarà ben dura, sarà un combattere contro se stesso, un po’ quel che accadde al mitico Billy the Kid nell’altrettanto leggendario film di Sam Peckinpah. Mica male per una bella morte.

Ma ci sarà Grillo all’ultima battaglia? O si defilerà come già spesso gli accade, ritagliandosi l’irresponsabile parte di mandante, di burattinaio? Lui non è un padre, è il fratellone dell’orda, colui che incita a uccidere il padre e a prenderne il posto, consapevole però che questo comporta l’essere a propria volta uccisi. Sterminatore di arcaici partiti, Grillo sa che potrebbe a sua volta essere spazzato via come Thomas Müntzer e i suoi idolatri contadini nella battaglia di Frankenhausen: un conto è battagliare contro moribondi rassegnati a morire, altra cosa è duellare con gente assetata di vita quali sono i pidiellini, gente che sa quanti sogni il denaro può comprare. Oso pensare, e sperare, che i cavalieri faranno a pezzi i seguaci di Müntzer, ma non sarà facile essendo di per sé i grillini frammenti di nulla. Contrariamente ai piddini non sentono il bisogno di amare il cupio dissolvi, già sono dissolti in una nebulosa spiritualista e virtuale che Casaleggio anche fisicamente incarna alla perfezione – senza perfezione nessuna anoressia. Fronteggiarli è lottare coi fantasmi, impresa non facile, lo sapeva anche Macbeth che pure aveva sconfitto un bel po’ di gente ritenuta invincibile. Perché i grillini spariscano dalla scena occorrerà che vincano, o credano di avere vinto. Solo allora, esaurito il furore, non avendo più un nemico che dia loro un senso, dovendo fare i conti con la propria anima – che però allo specchio non risalta e nemmeno risulta, sicché il ritratto di Dorian Gray a confronto fa la sua porca e fin rassicurante figura – potrebbero totalmente dissolversi non con cupidigia, disperazione o rimpianto, ma così. Così come? Così.

di Umberto Silva, 29/4