Il premier e Berlusconi: tra noi patto molto chiaro

Letta: non penso che Berlusconi possa fare gesti unilaterali,

perché dovrebbe modificare il suo profilo?

ROMA - Il fondale è pieno di scogli e il comandante ha ben chiaro che alla sua nave, varata da una settimana appena, tocca «navigare a vista». Ogni miglio di mare nasconde nuove insidie. Eppure Enrico Letta, che oggi a Madrid incontrerà il premier spagnolo Mariano Rajoy, non sembra troppo preoccupato per la tenuta del suo governo. «Non penso che Berlusconi possa fare gesti unilaterali - è la riflessione che ha affidato ai collaboratori - Perché dovrebbe modificare il profilo responsabile e istituzionale che si è costruito?».

Gli aut aut dell'ex premier piovono su Palazzo Chigi con cadenza quasi quotidiana, ma Letta non sente di avere il fiato del Cavaliere sul collo. E, con buona dose di realismo politico, si prepara a sciogliere pazientemente un nodo al giorno. «La durata del governo è legata alle riforme che faremo», è il leitmotiv. Il patto tra Letta e Berlusconi si fonda su un rapporto che il premier ritiene «molto chiaro e franco», declinato su pochi punti fondamentali. Per Letta la riforma elettorale e costituzionale è un «passaggio essenziale». Ma in cima alla lista, per dare un segnale di speranza sulla fine della dinamica recessiva, c'è il congelamento dell'Imu: e qui il presidente del Consiglio è consapevole di non potersi permettere temporeggiamenti. «Stop alla rata di giugno, piano complessivo sulla casa e poi discussione con la maggioranza», è la sua tabella di marcia. Ormai, ragionano a Palazzo Chigi, il governo è incardinato. La road map è tracciata e l'importante è non perdere la bussola delle cose da fare. Evitando di buttare sul percorso, già piuttosto accidentato in partenza, «elementi di preoccupazione ulteriore». Comprensibile dunque che il dossier giustizia, per dire di uno dei più spinosi e meno condivisi, sia destinato a finire in coda all'agenda.

Venerdì scorso Berlusconi ha chiamato Letta, di ritorno dal tour che lo ha visto a Berlino, Parigi e Bruxelles e si è complimentato per l'«ottimo debutto in Europa». Da allora a oggi, nonostante le fibrillazioni politiche siano aumentate, nella sostanza i rapporti tra i due non sono mutati. I limiti di un governo nato dall'emergenza e costretto al compromesso sono chiari a entrambi, così come le reciproche regole di ingaggio. Ma se molti pensano che Berlusconi stia solo aspettando il momento giusto per staccare la spina al governo, la sua durata è invece un obiettivo comune. «Io sono assolutamente filogovernativo - è il ragionamento del Cavaliere -. Ho vinto su tutta la linea... Volevo Napolitano ed è stato rieletto, chiedevo le larghe intese e abbiamo la prima grande coalizione. Perché mai dovrei spegnere le luci di Palazzo Chigi?». L'elettorato del Pd soffre, dopo le dimissioni di Bersani i democratici sono un partito in cerca d'autore e il Pdl, che invece procede compatto, non ha che da approfittarne. «Se Letta dura e noi riusciamo a costruire un grande rassemblement dei moderati - è il piano di Berlusconi, convinto di avere in tasca la "golden share" del governo - il centrodestra governerà il Paese per i prossimi vent'anni».

Uno scenario da incubo per il Pd. L'ex ministro Beppe Fioroni, punto di riferimento dei cattolici democratici, ha fiutato l'aria prima di altri e avverte: «La durata del governo deve deciderla il Pd, non Berlusconi. Dobbiamo metterci la faccia e la forza. Se invece l'esecutivo resta una partita tra il Cavaliere e Letta, Berlusconi si divertirà a farci credere che può staccare la spina quando vuole». Il problema è che il Pd non ha un leader e non è affatto scontato che l'Assemblea nazionale di sabato riesca a rimettere il treno democratico sui giusti binari. «La mia preoccupazione è che il Pd non regga...», ha confidato ai suoi Berlusconi, che ha accolto di buon grado la punizione di Michaela Biancofiore per contenere i maldipancia degli avversari-alleati. «Dobbiamo essere calmi, responsabili e collaborativi», va ripetendo Angelino Alfano ai membri del governo. Più difficile tenere a bada i falchi del Pdl, soprattutto quelli rimasti fuori dalla spartizione delle poltrone. «Abbandoniamo ogni egoismo - placa gli animi Daniela Santanché -. Siamo avanti nei sondaggi, ma tornare al voto sarebbe una follia. Sulle macerie non si costruisce».

Berlusconi coltiva ancora la speranza di sedere a capotavola della Convenzione per le riforme, non però a costo di minare il campo. E così, se il Pd non allenterà il veto, potrebbe tirarsi fuori. La pacificazione lettiana è anche la sua mission . «La persecuzione nei miei confronti è finita», va ripetendo Berlusconi agli amici. E se pure dovesse arrivare una condanna sui diritti tv Mediaset, la subirà con animo più sereno, soddisfatto perché «il clima è cambiato e la furiosa contrapposizione di cui sono stato vittima non esiste più».

Monica Guerzoni, Il Corriere della Sera, 6/5

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