IL PD ostacola Letta, altro che PDL

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 Letta scopre che gli ostacoli per il governo arrivano dal Pd

I dubbi sul disimpegno di Renzi, i due percorsi paralleli e il timore di una competizione col nuovo segretario

A prescindere da quale sarà la formula che il Pd troverà sabato per scegliere il successore di Bersani, c’è una questione politica importante che da giorni insospettisce Enrico Letta e che è ben sintetizzata in questa frase consegnataci da un esponente del Pd vicino al presidente del Consiglio: “Sembra incredibile ma nel nostro partito il ‘dopo Letta’ è cominciato un minuto dopo il giuramento del governo”. La considerazione forse è esagerata ma rende bene una percezione diffusa all’interno del Pd alla vigilia dell’assemblea nazionale: che il prossimo leader del partito non sarà affatto un “reggente” del governo Letta ma avrà anzi il compito di diventare un’alternativa a questo stesso governo. Il sospetto di Letta è che il nuovo segretario, dovendo avere un profilo più di sinistra rispetto al capo del governo, a forza di voler riequilibrare la forza centripeta sprigionata dalla grande coalizione diventerà di fatto un competitor del presidente del Consiglio e inizierà così a piantare lungo la strada dell’esecutivo i semi del dissenso. Ma prima ancora delle valutazioni sul successore di Bersani l’altra inconfessabile preoccupazione di Letta riguarda il percorso scelto dal suo “caro amico” Renzi. Letta sa che dietro la scelta di non correre come segretario esiste non solo una ragione di tipo personale (Renzi non ha voglia di occuparsi del partito) ma anche una di carattere politico. E in questo senso il vicesegretario Pd ha apprezzato che il Rottamatore abbia rinunciato a candidarsi alla guida del partito anche per evitare di creare uno schema simile a quello vissuto da Prodi nel 2007 con Veltroni alla guida del Pd: “Fare adesso primarie per scegliere il prossimo candidato premier – dice al Foglio Paolo Gentiloni, deputato Pd e consigliere di Renzi – significherebbe far suonare una campana a morte per il governo”.

Detto questo, se è vero che “è difficile che il libro dei sogni del governo Letta si trasformi in realtà” (come ha scritto ieri il Financial Times) è anche vero che dietro alla debolezza del governo non c’è solo la mano malandrina del Caimano ma c’è anche lo spettro del disimpegno dei leader del suo stesso partito. E in un certo modo anche dello stesso Renzi: che piuttosto che dettare l’agenda, come si sarebbe aspettato Letta, sembra intenzionato a rimanere lontano dalle peripezie della grande coalizione (e al presidente del Consiglio non è sfuggito l’appoggio “tiepido” che il Rottamatore gli ha riservato venerdì durante l’intervista con Minoli). La lontananza che il sindaco intende rimarcare fra il suo percorso e quello del governo verrà certificata con la richiesta che i renziani faranno in assemblea nazionale di modificare lo statuto non facendo più coincidere il ruolo di segretario con quello di candidato premier. Ma dall’altra parte, sul fronte governativo, nel Pd c’è chi fa notare che per Renzi sarebbe un errore aspettare il proprio turno allontanandosi tanto dal partito quanto dal governo. “Capisco – dice un lettiano al Foglio – l’esigenza di non voler farsi contaminare dalla grande coalizione.

Ma Matteo deve stare attento perché il suo distacco, sebbene sia comprensibile, potrebbe avere conseguenze inaspettate. Primo: un insuccesso del governo corrisponderebbe a un insuccesso del Pd. Secondo: un suo disimpegno dal Pd darebbe la possibilità ai vecchi vertici di continuare a guidare il partito. Se Renzi vuole ritrovarsi un domani con un Pd guidato dai vecchi oligarchi e un governo lasciato solo al suo destino faccia pure. Ma non capire che una debolezza del Pd e una debolezza del governo rischiano di rendere debole anche Renzi mi sembra un errore da matita blu”.

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa