Gogna d’appello. Brutta botta a Milano

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per il Cav. Lui regge l’urto, ma gli alleati del Pd?

Peggio di una brutta sentenza è forse la meccanica studiata dai giudici per allestire la gogna a regola d’arte. Prima l’ennesimo rifiuto opposto a una richiesta di sospensione da parte della difesa, poi l’accelerazione inattesa e sfolgorante, quindi una turbocamera di consiglio ed ecco infine irrompere sulla scena pubblica la conferma della condanna a quattro anni (più cinque d’interdizione dai pubblici uffici) per frode fiscale inflitta a Silvio Berlusconi dal tribunale di Milano nella sentenza d’appello relativa al processo sui diritti televisivi Mediaset. Dire che ce l’aspettavamo è poco, pur sapendo che il Cav. aveva ottime ragioni per valersi del principio in base al quale la responsabilità penale è personale, e lui non era incline a sorvegliare giorno per giorno il contegno dei suoi manager. Altrettanto prevedibile, e ben motivata, è la reazione furibonda del diretto interessato e della sua cerchia – “sentenza folle, ingiusta e basata solo sul principio dell’eliminazione dell’avversario per via giudiziaria”. Una reazione che si riverbera fosca sulla stabilità della larga ma sbilenca maggioranza raggrumata a sostegno del governo Letta. Del resto il profilo politico di una sentenza come quella di ieri origina in quella metamorfosi giudiziaria della vicenda politica berlusconiana da anni perseguita e alimentata in alcuni noti palazzi di giustizia. Basta ricordare la protervia con la quale il pm Boccassini ha cercato in ogni modo di strappare Berlusconi alla sua recente degenza per un malanno agli occhi, pur di accorciare i tempi del così detto processo Ruby (una seconda sentenza lampo è dietro l’angolo?).

C’è però da considerare altro. Il Cav. ha dimostrato di saper assorbire l’urto impetuoso dei grandi orologiai e degli inquisitori accaniti stanziati nelle procure d’assalto, in un certo senso ha consapevolmente sacrificato il suo presente a un’ordalia personale che sta entrando nella sua fase conclusiva: c’è un ultimo grado di giudizio in vista, quello della Cassazione, e lì di regola affiora un equilibrio difficilmente riscontrabile nei primi due verdetti. Vedremo. Nel frattempo è lecito immaginare che Berlusconi troverà le risorse per tenere distinta la sua posizione giudiziaria dal patto politico stretto con Letta e Monti (teste il Quirinale). La linea di minor resistenza all’urto non è forse nel capo e nel ventre di un Pd così smarrito?

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