Contro il Pd minimalista

Categoria: Firme

La trasformazione del partito in una gioiosa federazione

di correnti, il congresso, i due nomi in campo e la formula da “prefisso telefonico”. Perché i renziani dicono che il Pd ha bisogno adesso del Rottamatore

“Il Pd ha bisogno di Matteo e Matteo ha bisogno del Pd. E allora mi chiedo cosa diavolo aspetta il mio amico Renzi a scendere in campo e a prendersi subito il partito?”. La riunione d’urgenza che il Partito democratico ha convocato ieri a Roma, a Largo del Nazareno, per ragionare sulla soluzione da trovare per dare un ordine al grande caos che da settimane si è impossessato del primo partito italiano ha avuto l’effetto di restringere il campo dei candidati alla successione di Bersani (Anna Finocchiaro è la favorita, ma da ieri anche Roberto Speranza ha buone possibilità). Ma non ha avuto l’effetto di mettere a fuoco il vero tema che si nasconde dietro le dispute sul futuro della segreteria del Pd, che si può intuire in controluce tra le parole che avete letto all’inizio di questo pezzo che ci ha consegnato un deputato vicinissimo al sindaco di Firenze, Dario Nardella. Il problema non è da poco ed è un punto che dovrebbe appassionare i vertici del Pd più del dibattito sulla reggenza, più della contesa sul congresso anticipato, più della polemica sul manuale Cencelli. La questione è semplice e per sintetizzarla potremmo cavarcela con un piccolo scioglilingua: di quale Pd ha bisogno il Pd per tornare a fare il Pd? Al momento, a giudicare dal livello del dibattito che sta precedendo l’assemblea nazionale che il Partito democratico ha convocato sabato alla fiera di Roma, l’interesse prevalente mostrato da tutti i vecchi e i nuovi capicorrente del Pd coincide con la volontà di congelare il partito (e questo a prescindere se il “segretario forte” ci sarà già da sabato ) e di cercare una soluzione utile a non stravolgere lo status quo che si è venuto a determinare dopo il drammatico azzeramento dei vertici del Pd – e che ha permesso, come si è visto in questi giorni con le nomine dei sottosegretari e dei presidenti di commissione, di trasformare il Pd in una gioiosa federazione di correnti.

Quale che sia la scelta definitiva che il Pd farà per trovare una candidatura condivisa – e quale che sia il nome che la spunterà tra Anna Finocchiaro, Roberto Speranza, Vannino Chiti  e Gianni Cuperlo (e ieri Renzi, durante il colloquio con Bersani, ha dato il suo via libera a qualsiasi soluzione, compresa Finocchiaro, ma ha chiesto al segretario uscente un accordo per dare al suo braccio destro Luca Lotti le chiavi dell’organizzazione del partito o in subordine l’Economia a Yoram Gutgeld o infine la guida degli Enti Locali ad Angelo Rughetti) – il punto è che la logica con cui i vertici Pd stanno discutendo del futuro risponde più a un criterio di sopravvivenza che di resurrezione. Il principio della grande distribuzione sembra l’unico vero spartito di questo pre-congresso. Sfugge a tutti i protagonisti in campo che il problema del Pd riguarda la sua identità, la sua forma, la sua autonomia, la sua indipendenza e la sua emancipazione piena dalla sinistra dei Rodotà (tà-tà): si rischia una fase di pericolosa regressione politica che aiuterà tutti i nuovi e vecchi colonnelli del Pd ad aver diritto alla propria fetta di pena ma che rischia di aggravare i problemi che hanno portato il Pd sulla strada del collasso.

E dunque, che fare? L’antidoto alla strada minimalista tracciata ieri durante il caminetto in realtà esiste ed è un nome sul quale oggi in pochi sarebbero disposti a opporsi per dare al partito non solo una nuova guida ma anche una nuova spinta. Il nome è quello di Matteo Renzi, ed è vero che per il momento il Rottamatore ha scelto la strada del disimpegno morbido dalla vita del partito ma è anche assodato che nella sua stessa corrente c’è ancora qualcuno che conta di fargli cambiare idea per convincerlo che un leader di centrosinistra che ha l’ambizione di guidare un paese può essere competitivo solo a condizione che abbia dietro alle spalle un partito fatto a sua immagine e somiglianza. E oggi, nonostante la strada del sindaco (e del Pd) sembri essere un’altra, anche sul fronte renziano c’è chi intende fare di tutto per far cambiare rotta al Rottamatore. A guidare il fronte degli “interventisti” renziani è l’ex vice di Renzi al comune di Firenze: Dario Nardella, oggi deputato Pd.

“E’ assurdo che un partito che dovrebbe tornare a riscaldare i cuori del suo popolo decida di ricorrere proprio ora alla soluzione del congelatore”, dice con un sorriso Nardella al Foglio. “Io credo che per guidare il Pd sia necessaria una figura che possa incarnare un nuovo modo di intendere la sinistra, che possa essere uno stimolo costruttivo per il governo e che possa aiutare il nostro partito ad arrivare alle prossime elezioni con percentuali superiori a quelle da prefisso telefonico. Una figura come Matteo credo possa essere l’ideale e io, lo dico con amicizia, resto convinto che lui possa cambiare idea. Oggi è giusto lavorare compatti per cercare una soluzione unitaria ma io credo che sia utile ragionare ancora su una soluzione che possa garantire una sua entrata in gioco in un secondo momento. Bisogna pensarci seriamente. Il Pd ha bisogno di Matteo e Matteo ha bisogno del Pd. E se vogliamo evitare la sindrome prefisso telefonico è evidente a tutti che oggi dobbiamo chiedere ai nostri dirigenti le stesse cose che Letta ha chiesto qualche giorno fa ai vertici del Cinque stelle. La dico così: ragazzi, via è arrivato il momento di spegnere il congelatore e di rifare il Pd”.

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa