In una Confindustria già tormentata,

Categoria: Firme

si preparano altre fuoriuscite di peso

L’associazione Centromarca (imprese storiche e multinazionali) mette all’ordine del giorno l’abbandono di Squinzi&co.

La crisi sopra di me, la crisi dentro di me. Confindustria, a due settimane dal primo giro di boa della presidenza di Giorgio Squinzi, attraversa un periodo tormentato. Ancora ieri il Centro studi del “sindacato” degli imprenditori italiani registrava attività stagnante per l’industria nazionale ad aprile, mentre è ancora distante (meno 24,7 per cento) il picco di attività pre-crisi del 2008. Dentro Confindustria, non va molto meglio. Non a caso, mentre bruciava ancora l’uscita dall’associazione del primo gruppo manifatturiero italiano, la Fiat di Sergio Marchionne, avvenuta tra 2011 e 2012 quando presidente degli industriali era Emma Marcegaglia, nell’aprile 2012 Confindustria formò una commissione per valutare la riforma dell’associazione. La commissione Pesenti questa settimana ha presentato in giunta le linee guida del suo progetto. Troppa burocrazia interna, costi eccessivi, molta condiscendenza coi sindacati: sono alcune delle critiche che arrivano da associati e analisti. E il tormento continua: in Veneto, Alessandro Riello è uscito da Confindustria e con altri 80 imprenditori ha fondato il gruppo Agire. Di recente anche Finco, Federazione delle associazioni di categoria del mondo di prodotti, impianti e servizi per le costruzioni, è uscita. E pure Centromarca, associazione di 200 aziende tra le più importanti nei settori dei beni di consumo (tra cui multinazionali come Coca-Cola e Bayer), ha inserito l’abbandono di Squinzi e soci all’ordine del giorno del consiglio direttivo di giovedì.

Centromarca discuterà dell’uscita da Confindustria il 16 maggio, lo conferma al Foglio il presidente dell’associazione, Luigi Bordoni: “E’ una valutazione che faremo seriamente e che per la prima volta abbiamo messo all’ordine del giorno in una riunione ufficiale”. L’Oréal, Heinz-Plasmon, Bayer tra le straniere, Lavazza, Barilla e Ferrero tra le italiane, queste sono solo alcune delle 200 aziende affiliate a Centromarca. Il fatto che l’associazione fuoriesca da Confindustria, smettendo di pagare la sua quota, non comporta automaticamente l’uscita delle singole imprese dal sistema, ma sarebbe comunque “un segnale forte – dice Bordoni – Anche perché non è uno solo il motivo che ci spinge a valutare questo passo”. Pesa la vicenda dell’articolo 62 del decreto liberalizzazioni che regolamenta le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari tra gli operatori economici della filiera. In sintesi, l’articolo 62 prevedeva l’adozione di un regolamento comunitario che impegnava tutti, anche la grande distribuzione, a completare i pagamenti ai fornitori entro 30-60 giorni. In Italia la media per il settore è però 90-180 giorni. “Da Confindustria – dice al Foglio il patron di una storica azienda italiana che chiede di rimanere anonimo – sono arrivate pressioni al ministero per una interpretazione più lasca della norma”. Per Bordoni, più diplomaticamente, “in Confindustria non c’è stata una sintesi felice tra interessi divergenti”. Non solo: “Ci ha fatto pensare poi la scelta di Squinzi di proporre un manifesto di politica economica per il governo nel quale si raccomanda di alzare le aliquote Iva sui beni primari per non aumentare l’aliquota del 21 per cento. La via maestra però è quella di esigere risparmi di spesa dello stato”. Infine le aziende di Centromarca “sollevano il tema di una ‘forte complessità’ delle strutture confindustriali, se non vogliamo dire di ‘burocratizzazione’ – conclude Bordoni – Questo rende poco credibile anche la critica che, come industriali, muoviamo alle inefficienze del pubblico”. Secondo la ricostruzione del Foglio, alcuni marchi storici italiani di Centromarca non si fermeranno qui, e nelle prossime settimane smetteranno di pagare pure la loro quota associativa. © - FOGLIO QUOTIDIANO

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 11/5