Il lavoraccio dei sabotatori contro le

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larghe intese. Napolitano frena i duri del Pd,

ma s’avanza la tentazione a 5 stelle. Enrico Letta arriva pensieroso all’aeroporto di Ciampino, dove nel tardo pomeriggio lo attende un aereo per Varsavia. Il presidente del Consiglio osserva con preoccupazione i bisticci di Pd e Pdl sulla giustizia e sulle intercettazioni e si consulta con Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica che fa da scudo al governo e che ieri non ha gradito le parole di Luigi Zanda, il capogruppo del Pd alla Camera che ha spiegato di non ritenere Silvio Berlusconi eleggibile confermando così tutti i timori del Cavaliere (“ma la pacificazione dov’è?”) e scatenando pure l’applauso del Movimento 5 stelle: “Anche noi siamo pronti a votare l’ineleggibilità”. Napolitano ha rassicurato Letta, ci pensa lui ai partiti agitati, il presidente del Consiglio deve soltanto andare avanti, avviare le riforme, concentrarsi sul prossimo Consiglio europeo di giugno senza farsi “intimidire dalle polemiche”. All’ombra delle schermaglie il Quirinale intuisce un disegno che corre parallelo all’interno dei due partiti. Nel Pd fanno capolino con una certa insistenza gli antichi riflessi antiberlusconiani, mentre nel Pdl il Cavaliere suona i suoi falchi e le sue colombe come una lunga e articolata tastiera di pianoforte.

Nel Pd avanzano i guastatori, e persino Matteo Renzi, che ieri ha incontrato Letta, ha assunto una posizione ambigua nei confronti di un governo che il giovane sindaco considera forse troppo promiscuo (“per non prendere i voti del Pdl è finita che ci siamo presi i loro ministri”). Nel partito confuso, e attraversato da un profondo tramestio interno, riemerge così, pur nel disordine, la tentazione di un’alleanza berlusconicida con il Movimento 5 stelle. Zanda si sintonizza con i giornaloni del centrosinistra e accarezza per il verso giusto la barba di Beppe Grillo: “Secondo la legge italiana Berlusconi, in quanto concessionario, non è eleggibile, né a maggior ragione si può pensare di nominarlo senatore a vita”. Così l’avvocato Piero Longo e gli altri del Pdl dicono che, “nel caso in cui Berlusconi sia condannato all’interdizione, un minuto prima cade il governo”. E Grillo raccoglie il vento di tempesta: “Il nano è convinto che se si rivota con questa legge elettorale lui vince e va al Quirinale. Gli unici a poter impedire questo saremo noi”. Il Pd è un mare confuso, come s’intuisce anche dalle parole di Francesco Cundari, l’autore del “Manuale dei giovani turchi”: “Tra dichiarare Berlusconi ineleggibile e farci un governo insieme, personalmente, preferirei una ragionevole via di mezzo”. Ma nel partito si agitano forze che Napolitano teme e intende tenere a bada con la minaccia delle elezioni anticipate (o delle sue dimissioni); mentre a Letta spetta il difficile compito di rilanciare l’iniziativa politica.

La Giustizia tra Casson e Lumia

Nel Pdl la dialettica è invece tutta ricompresa nella personalità, doppia e complessa, di Berlusconi. Denis Verdini annuncia che non ci saranno più comizi sullo stile di Brescia, ma intanto il partito scende in piazza la prossima settimana a Roma per le elezioni comunali, e Nitto Palma giura che la riforma della giustizia “non è una priorità”. Il presidente della commissione Giustizia al Senato sa di essere assediato dagli alleati/avversari del Pd, e si è fatto interprete di una linea di studiata cautela: il suo vicepresidente è Felice Casson, l’ex magistrato divenuto molto loquace, e il capogruppo del Pd in commissione è Giuseppe Lumia, un tempo regista del governo siculo di Raffaele Lombardo, il più professionista dei professionisti dell’antimafia. E dunque, pensa Palma, in questo contesto non si possono fare mosse false perché “quelli non aspettano altro che poterci accusare di qualche nefandezza per far cadere il governo”. Difatti il disegno di legge sulle intercettazioni, depositato alla Camera, adesso viene considerato poco più di un incidente, un fallo involontario. Tutte colombe alla corte di Arcore, dunque. Ma nel chiuso del Castello, nelle lunghe notti di Palazzo Grazioli, Niccolò Ghedini versa solo parole di allarme nelle orecchie del Cavaliere inquieto e inquisito. Martedì sera, a cena, Berlusconi ha spiegato il suo punto di vista. Vuole fidarsi delle garanzie del Quirinale, ma allo stesso tempo si sente prigioniero di Napolitano, sa quanto sia complicato ottenere le elezioni anticipate, teme le dimissioni del presidente, ma teme pure che le larghe intese servano solo a prendere tempo “per dare agio ai magistrati di fare il loro sporco lavoro”.

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo