Così la Corte tedesca difende Berlino

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dalla “contaminazione” europea

La missione del presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, in visita a Roma venerdì per incontrare il presidente del Consiglio, Enrico Letta, è legata alla preparazione del prossimo vertice europeo. A un mese circa da tale vertice, è utile chiedersi quali siano i parametri chiave che le proposte per il prossimo Consiglio europeo dovranno rispettare per schivare il veto tedesco.

Nel corso di un incontro a porte chiuse organizzato dalla Brookings Institution a Berlino e appena conclusosi, i partecipanti tedeschi hanno definito almeno quattro parametri necessari perché proposte di cooperazione possano avere trazione presso la cancelleria, almeno in linea di principio. In primo luogo, va considerata la costituzione federale e, soprattutto, l’interpretazione del tutto peculiare che di essa dà la Corte costituzionale a Karlsruhe. Quest’ultima appare rigettare il principio che i trattati europei prevalgano necessariamente sulla costituzione medesima. Già in passato la Corte ha dichiarato che la tutela dei diritti umani, così com’è sancita dalla stessa Costituzione, prevale su qualsiasi legislazione europea in materia. In realtà, nella presentazione fatta da un partecipante, la Corte si è spinta ben oltre, sino a interferire nella formulazione della politica economica, fissando dei paletti precisi che non si possono valicare. Nel caso della decisione sul trattato di Maastricht, stabilì che la Germania potesse aderire all’Eurozona intesa come unione monetaria fondata sul principio di “stabilità”. Di conseguenza, se quest’ultima si evolvesse in una direzione apparentemente incompatibile con tale principio, nella valutazione della Corte la partecipazione della Germania alla moneta unica verrebbe messa in discussione. In altre parole, tale partecipazione ha carattere esclusivamente “contrattuale” e “condizionale” rispetto al summenzionato principio di stabilità.

La Corte ha anche mostrato nelle sue sentenze un orientamento a tutelare le prerogative parlamentari e, al tempo stesso, a specificare taluni contenuti. Per esempio, ha sostenuto che il Bundestag non debba abdicare alle sue responsabilità in materia di finanza pubblica fornendo un “semaforo verde” preventivo rispetto a meccanismi di finanziamento europei che possano risultare in un aggravio per l’erario federale non quantificabile ex ante. Non solo. Qualsiasi appropriazione parlamentare nel medesimo ambito deve rispettare il principio di autonomia finanziaria che verrebbe violato qualora il danno per l’erario federale, pur quantificabile, intaccasse per la sua considerevole entità vari esercizi finanziari. Un membro della Corte si è spinto, sia pure a titolo puramente personale, a definire nell’ammontare annuale del bilancio federale tale limite (circa 170 miliardi di euro). Ne emerge che è impossibile finanziare, a livello intergovernativo, politiche di stabilizzazione macroeconomica. Del resto, l’esperienza del fondo europeo (Esm) è illuminante vista la capacità finanziaria relativamente modesta di cui è stato dotato rispetto all’ambiziosa missione istituzionale. Ciò non esclude, tuttavia, la formulazione e il sostegno di politiche più mirate, a livello microeconomico, che possano facilitare, in specifici ambiti, l’aggiustamento strutturale delle economie del sud nell’attuale contesto depressivo. Il requisito chiave, tuttavia, è che si possano valutare ex ante i costi e i benefici.

Da ultimo, la Corte si riserva la facoltà di condurre una valutazione “ultra vires” sulla legislazione europea secondaria mirata ad accertare se qualsiasi iniziativa a Bruxelles o Francoforte rientri nei limiti delle facoltà attribuite loro. Un tale impianto rivela un’interessante asimmetria e, sul piano operativo, due principali conseguenze. L’asimmetria consiste nel fatto che la Germania, da un lato chiede ai suoi partner di emendare le proprie costituzioni per agevolare l’integrazione europea (vedi equilibrio di bilancio adottato nella nostra Costituzione); dall’altro afferma senza remore la priorità della propria rispetto ai trattati europei. Sul piano operativo, quest’impianto rimuove qualsiasi possibilità che le elezioni politiche previste a fine settembre, possano imprimere una dinamica più simmetrica nelle politiche di integrazione che il nuovo cancelliere potrà formulare, qualsiasi sia il suo colore politico. Qualsiasi forza politica, anche la più piccola che non riuscisse ad accedere alla rappresentanza parlamentare nel Bundestag, potrebbe bloccare qualsiasi nuova iniziativa che si ponga al di fuori dello schema sopra abbozzato. In tal senso, la personalizzazione dell’intransigenza tedesca con Angela Merkel o il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, a opera dei media è  un diversivo. In secondo luogo, definisce in modo abbastanza preciso i termini sulla base dei quali ancorare la cooperazione e l’integrazione con la Germania: con proposte incrementali, quantificabili ex ante e di dimensioni relativamente contenute rispetto alla capacità finanziaria tedesca, rinviando ad agenzie europee, come la Banca centrale europea e la Banca europea per gli investimenti (Bei), e non intergovernative come il Meccanismo di stabilità europeo (Esm), interventi più impegnativi ma sempre nell’ambito dei paletti di cui sopra. Solo operando su questa base gli integrazionisti conseguiranno qualche risultato. Nell’incontro di venerdì con Van Rompuy, Letta potrebbe chiedere più risorse per contrastare la disoccupazione giovanile, finanziandole con un prelievo comunitario (addizionale) sul gettito dell’Iva. I proventi verrebbero destinati a incentivare politiche di occupazione sulla base di un approccio “contrattuale” e “condizionato”: grazie ai progressi fatti su riforme strutturali volte a incoraggiare l’occupazione dei giovani, i paesi del sud potrebbero attingere a risorse addizionali per finanziare politiche compensative e di aggiustamento.

di Domenico Lombardi, 28/5