La meglio gioventù inglese

Categoria: Firme

 ha trasformato Londra in un mattatoio. Gli studenti

modello.Dietro i sorrisi, l’odio inestirpabile

Juliet Obasuyi era preoccupata, perché il figlio era diventato così diverso dalla sorella, “lei sì una buona cristiana con la laurea”. Michael Adebowale, il terrorista che assieme a Michael Adebolajo ha macellato con un machete il soldato inglese Lee Regby nel cuore di Londra, aveva infatti un futuro radioso di fronte a sé. A scuola gli insegnanti lo avevano scelto come “studente modello” e gli avevano assegnato l’incarico di scrivere una speciale sceneggiatura teatrale sulla violenza fra gli immigrati e le gang di strada in Inghilterra. Un monito per gli altri.

Le biografie di attentatori e kamikaze sono diventate un genere letterario dopo l’11 settembre (il Los Angeles Times ne pubblicò una memorabile di Mohamed Atta). Adesso si cominciano a mettere assieme i pezzi del puzzle biografico dei terroristi di Woolwich, giovani cristiani nigeriani convertiti all’islam a cui la scuola pubblica britannica aveva inculcato, e sembrava con successo, i buoni valori della tolleranza e del divertissement. La piéce teatrale commissionata ad Adebowale racconta di un gruppo di cinque amici di strada che si mescolano a brutte frequentazioni. A Michael un teppista gli passa una pistola e viene arrestato dalla polizia. Morale della storia: “Don’t get mixed up with the wrong crowd”. Guardatevi dalle cattive amicizie.

“Tobi”, come era noto agli amici Oluwatobi a scuola, non aveva una speciale predisposizione per gli sport e le attività fisiche. Nei campetti di calcio lo prendevano in giro dicendo che aveva “i piedi storti”. Così Michael sviluppò un talento naturale nello stare con gli altri, nel lavorare con gli insegnanti, nel radunare il gruppo quando subentra il caos. Insomma, uno “studente modello”, come viene ripetutamente descritto. “Non lo avevo mai sentito dire cose violente”, ha detto alla polizia Tony, un amico del terrorista. “Non so cosa gli sia successo”. A scuola Michael era noto a tutti come “the joker”, quello che fa battute, che intrattiene gli altri e ci sa fare con le ragazze.

Un compagno di scuola, Luqman Ciise, su Twitter ha detto di Michael: “Era la persona più sorridente di tutte”. Il futuro terrorista collezionava tutti i libri di Jamie Oliver, lo chef più noto del Regno Unito, e se li scambiava con una vicina di casa. E’ lo stesso ritratto di Michael Adebolajo. Gli aggettivi che ricorrono di più sono “nice”, “friendly”, “polite”, “uno che voleva aiutare sempre tutti”, a cominciare da scuola. Se cambi le date, i nomi e i luoghi escono i ritratti degli attentatori del 7 luglio 2005.

C’è una fotografia che ritrae assieme Mohammed Sidique Khan e Shehzad Tanweer, i due “martiri di Allah” che scatenarono l’inferno nel cuore di Londra. I futuri terroristi stanno facendo rafting a Canolfan Tryweryn. Mohammed, che si farà saltare in aria a Edgware Road, fa il segno della vittoria; vicino a lui c’è il mite “Khaka”, stragista ad Aldgate. La foto fu scattata il 4 giugno, trentatré giorni prima che si trasformassero in teche esplosive e distruggessero le vite di 52 persone.

Shehzad era “un tipo dolce e sempre sorridente”, “con uno straordinario senso dell’umorismo e non interessato alla politica”. Mohammed Sidique Khan lavorava come insegnante in un centro per ragazzi disabili, dove anche la moglie si occupava di educazione. Nel 2002 Khan aveva dato un’intervista al supplemento del Times sull’educazione inglese: “La felicità? Quando i miei alunni dicono che questa è la migliore scuola dove sono stati, io mi sento realizzato”. Non era ancora l’uomo che avrebbe definito l’Inghilterra Dar al Harb, terra di battaglia.

In un test per un lavoro in una scuola, Khan si presentava così: “Giovane lavoratore, ho una buona esperienza nel lavorare con i bambini con difficoltà sociali. Riesco ad avere un eccellente rapporto con i giovani e cerco sempre di dialogare con loro”. Khan avrebbe lavorato gratuitamente in comunità che combattevano la tossicodipendenza e fu assunto da una scuola elementare, la Hillside Primary di Leeds, per lavorare con i bambini con difficoltà familiari e di apprendimento. Così è descritto in una nota: “E’ bravissimo con i bambini e tutti lo amano”.

A leggere “Understanding Terror Networks” di Marc Sageman si vede come due terzi dei 172 terroristi legati ad al Qaida di cui il libro ripercorre la carriera provenivano dalla classe media e avevano beneficiato di un’istruzione universitaria. Come Ahmed Omar Saeed Sheikh, uno degli assassini di Daniel Pearl, l’inviato del Wall Street Journal sgozzato nel 2002. Le immagini ci mostrano un bravo ragazzo, il figlio del ricco venditore di tappeti orientali, con la riga da una parte e gli occhiali. E se nel caso degli attentatori del 7 luglio un ruolo fondamentale lo hanno avuto le moschee deobandi e i garage improvvisati del radicalismo wahabita, nel caso dell’attentato di Woolwich centrali sono le università inglesi. Una in particolare: Greenwich University.

Entrambi, Adebowale e Adebolajo, si sono radicalizzati e si sono conosciuti in quelle aule. Così la Home Secretary Theresa May ha lanciato una inchiesta per verificare quanto profondo sia lo stato di islamizzazione delle facoltà del Regno Unito. Si è scoperto infatti che a una festa universitaria al Greenwich venivano distribuiti i libri di un celebre religioso residente a Bombay, Zakir Naik, che celebra Osama bin Laden e invoca l’estensione della sharia a tutti gli indiani. Inoltre, era molto frequente che nelle aule universitarie venissero invitati personaggi come Khalid Fikry, un religioso egiziano apologeta del terrorismo. Un ruolo decisivo è quello svolto dalla Federation of Student Islamic Societies (Fosis), l’organismo ufficiale che riunisce gli studenti musulmani all’università. In un evento a cui presero parte anche Adebowale e Adebolajo c’era persino Nicola Dandridge, direttrice di Universities UK, l’organismo di coordinamento di tutti gli atenei britannici, che elogiò il Fosis per il suo lavoro di “coesione comunitaria”.

Al pari di Mohamed Atta, Adebowale e Adebolajo non avevano conosciuto un solo giorno di povertà. Come quasi tutti gli  altri attentatori islamici. Eppure la vulgata vuole che questi fanatici vengano arruolati tra gli oppressi del pianeta, perché è colpa dell’occidente che ha creato enormi sacche di miseria e disperazione. Le biografie dei due attentatori di Woolwich dicono il contrario. Jason Burke, che ha pubblicato un libro sui kamikaze di al Qaeda, ha tracciato un profilo del militante medio disposto a far scorrere il sangue: quasi sempre laureato, benestante, con un lavoro corrispondente al titolo di studio. Sembrano usciti dal romanzo di Hamid Mohsin, “Il fondamentalista”, in cui il protagonista è un giovane pachistano, ammesso a Princeton e che dopo la laurea summa cum laude viene assunto da una prestigiosa società di consulenza newyorchese. Però in cuore cova un odio inestirpabile per l’occidente.

Il percorso dei “ragazzi di Woolwich”, come sono stati definiti Adebowale e Adebolajo, ricorda quello di Mohammed Bouyeri, che sgozzò Theo van Gogh in una strada di Amsterdam. “Mo”, come Bouyeri era noto a tutti, era un ragazzo “promettente” e “positivo”, introverso e timido, che abbassa lo sguardo davanti agli insegnanti. Lavora sodo, per la carriera, la famiglia. E’ orgogliosamente di sinistra, scrive nel giornale multiculturale della scuola, organizza banchetti e dibattiti. Gli piacciono le ragazze olandesi, le trova “facili”.

Mohammed B. è un vero secchione. Mentre i suoi amici marocchini giocano a pallone, “Mo” si concentra sui libri e sui buoni voti. Legge il giornale al De Kleine Nachtwacht (la Piccola Ronda di Notte),  il bar del quartiere di Amsterdam ovest dove era nato e cresciuto, e torna a casa presto per studiare. Nelle ore libere lavora come volontario nel centro sociale del quartiere.

Poi scatta “qualcosa”. Scatta sempre qualcosa. Un imam. Un sermone. Un libro. E la meglio gioventù si trasforma in robot della morte.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Giulio Meotti, 29/5