Governo tra quattrini e Mattarellum

Categoria: Firme

Nasce la diffidenza del governo per le mosse di Renzi

Tre cerchi, tre piani, tre strategie, tre modi diversi di osservare la vita del governo e un sospetto che giorno dopo giorno ha sempre più il volto del sindaco di Firenze, ovvero Matteo Renzi. La giornata vissuta ieri da Enrico Letta, tra una riunione con i consiglieri politici, una mozione presentata alle Camere, un messaggio ricevuto dall’Europa e una battaglia combattuta all’interno del Pd sul tema della legge elettorale, sintetizza il percorso complicato che il presidente del Consiglio dovrà seguire nei prossimi mesi per applicare il programma di governo e rimanere in equilibrio tra le micro tensioni che emergono quotidianamente dal fronte parlamentare, e in particolare nel Pd. Ieri, dopo aver festeggiato la conferma dell’uscita dell’Italia dalla procedura europea per i disavanzi eccessivi, Letta ha spiegato alle Camere il tracciato che il governo seguirà sulle riforme istituzionali, ha ringraziato Monti per il lavoro fatto sul risanamento dei conti pubblici e ha ribadito che la vera sfida dell’esecutivo è arrivare al Consiglio europeo di fine giugno con le carte in regola per far girare la ruota, trovare qualche soldo in più e sbloccare alcuni investimenti importanti. Tradotto dal politichese, come ci spiega un consigliere del presidente del Consiglio, la strategia di Letta, che grazie alla conclusione della procedura di infrazione si ritrova con circa dieci miliardi in più, è quella di arrivare il prossimo 29 giugno a Bruxelles con la forza contrattuale per chiedere ai colleghi europei alcune deroghe che potrebbero portare altri 15 miliardi nelle casse dell’Italia. E le deroghe sono due in particolare: da un lato la famosa golden rule (lo scorporo dal calcolo del deficit di fine anno di alcuni “investimenti materiali” come la costruzione di infrastrutture) e dall’altro l’uscita dal Patto di stabilità per alcuni investimenti utili a far ripartire la crescita (e non necessariamente di carattere infrastrutturale). Nel dossier del governo c’è anche un capitolo, non ancora aperto ufficialmente, relativo alla pianificazione dei 60 miliardi che il prossimo gennaio verranno stanziati nell’ambito della programmazione dei fondi comunitari messi a disposizione dell’Europa tra il 2014 e il 2020 e un altro capitolo dedicato alla rinegoziazione dei poteri della Cassa depositi e prestiti, e alla possibilità che la Cdp possa aprire la sua cassaforte anche per incentivare nuovi investimenti pubblici. Su questi temi, all’interno del governo, non ci sono grandi linee di frattura e anche se su alcuni punti esistono valutazioni differenti (vedi la Cassa depositi) Letta è convinto di poter trovare una mediazione. Se il governo è dunque relativamente stabile la verità è che giorno dopo giorno all’interno dell’esecutivo sta maturando la convinzione che i veri guai per Letta non arriveranno dalla dialettica tra i ministri ma arriveranno dal Parlamento e in particolare dal mondo del Pd. In questi giorni, il presidente del Consiglio è sempre stato attento a imporre la teoria dell’“indipendenza dei tre cerchi”, e della sostanziale autonomia dell’attività di governo (primo cerchio) rispetto a quella del Parlamento (secondo cerchio) e dei partiti (terzo cerchio). Eppure, come racconta al Foglio un esponente dell’esecutivo, “è evidente che se nasceranno problemi al governo, quei problemi arriveranno a causa delle spaccature interne al Pd, che naturalmente rimangono nonostante il buon risultato delle amministrative”.

La mozione per la sostituzione del porcellum con il mattarellum presentata ieri dal renziano Roberto Giachetti – e firmata da cento deputati del centrosinistra tra cui prodiani e renziani – pur essendo stata

bocciata dalla Camera ha rappresentato il primo segnale di fragilità nei rapporti tra il governo e il Pd. Ed è significativo che il testo non sia stato ritirato neppure dopo la richiesta arrivata dal presidente del Consiglio (che per evitare divisioni tra le forze di maggioranza aveva chiesto di rinviare di qualche settimana le discussioni sul merito delle riforme istituzionali). Identificare in questa partita un asse tra renziani e prodiani per indebolire il governo è eccessivo, e in realtà il sindaco non ha avuto un ruolo diretto nella vicenda Giachetti. Nonostante ciò, però, la storia della mozione sul mattarellum ha contribuito a rafforzare nella testa di alcuni ministri una convinzione precisa: che il vero pericolo per il governo rischia di essere non tanto Silvio Berlusconi ma proprio Matteo Renzi. “Per l’esecutivo – dice al Foglio un esponente tecnico del governo – i problemi veri cominceranno un minuto dopo il congresso del Pd. Più sarà forte il nuovo leader del partito e più saranno alte le probabilità che questo governo si ritrovi con un grosso bastone in mezzo alle ruote. Ed è evidente che se per caso il nuovo segretario dovesse essere Renzi, per il governo comincerebbe il conto alla rovescia”. Renzi, già. Fino a oggi il sindaco ha sempre smentito di voler correre per la segreteria, e anche ieri ha ripetuto di fare il tifo per il governo Letta. Ma dopo le amministrative, le pressioni sul rottamatore sono tornate forti e il sindaco è preoccupato che il risultato ottenuto alle comunali possa contribuire a mantenere lo status quo nel Pd. Dunque, che fare? Renzi non ha deciso ma la situazione è in movimento e le cose possono cambiare. E come confessato due sere fa da Renzi a un amico a Firenze “non è escluso che io ci possa ripensare”.

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa