Falso Grasso

Categoria: Firme

Un presidente del Senato, devoto al pensierino unico,

che cerca sempre la verità a favore di telecamera. Presidenti di Camera e Senato eletti per un “inciucio di sinistra”

Togliete a Pietro Grasso il verbo “volere” e la parola “verità”, e di lui non resterà che un sorriso fisso e muto a favore di telecamera. “Voglio la verità sulle stragi impunite”, cantilenava ancora ieri sulla prima pagina di Repubblica. Ed è una litania consunta dalla sua autoevidenza basica, dal suo non poter essere non condivisa in linea di principio. Declinata però, la litania del presidente di Palazzo Madama, con quella retorica a basso costo caratteristica di chi sa di non aver nulla di nuovo da dire e nulla di proprio da perdere, con quel senso di sicurezza placida che si prova nel sedere su una poltrona sempre orientata verso la direzione della corrente storica. A Grasso viene facile allestire l’inventario dei morti e delle ingiustizie, delle stragi e delle altre nefandezze addebitate allo stato, per concluderne che le forze del male non devono prevalere, che le forze del bene devono indagare e indagare e indagare ancora, meglio se “allargando i compiti della commissione d’inchiesta antimafia anche alle stragi e al terrorismo”. Grasso vuole patrocinare un tribunale giudiziario, ma forse non gli basta: vuole approntare una corte della moralità pubblica in servizio permanente ed effettivo. Che poi è il più classico prologo in cielo del nulla di fatto (per la verità, così facilmente oltraggiata da chi ne martella il nome) ma tanto di guadagnato per se stessi. C’è modo più efficace per spolverare una rendita di posizione sotto il cono di luce mediatica?

Bisogna guardarlo bene, Grasso, studiarne l’agenda quotidiana e poi osservarlo quando vocalizza la sua adesione rocciosa al principio di banalità, mentre esprime – con un rapporto manifestamente idiosincratico verso l’uso del congiuntivo – la sua logica del “pensierino unico”. Martedì sera presenziava in qualità di “ospite d’onore” alla “Partita del cuore 2013” andata in scena a Torino. E ci sta pure un po’ di mondanità umanitaristica, un po’ di narcisismo altruistico. Ma già domenica scorsa s’era fatto intervistare in tv durante l’intervallo del derby vero, quello romano di Coppa Italia. Tema: il calcio e la violenza. Svolgimento: un pensierino unico, per l’appunto, sul valore dello sport per combattere “le distinzioni di razza, di religione e di genere”. Applausi, anzi autoapplausi e tanti, da Grasso a Grasso, traditi da quel sorriso sazio che si è scolpito nel suo volto una volta terminato il pensierino (sempre in favore di telecamera). Lo stesso sorriso mostrato durante il conteggio dei voti per l’elezione del presidente della Repubblica, la stessa maschera indossata quando i suoi doveri istituzionali di silente passacarte (le schede elettorali) non gli hanno impedito di sfoderare il profilo migliore per annuire compunto (a favore di telecamera) ascoltando le parole di Giorgio Napolitano appena rieletto.

A pensarci bene, c’è qualcosa in Grasso che ricorda Gianfranco Fini (parlandone da vivo) e non è soltanto l’abbronzatura, che nel caso dell’ex magistrato ha un quid di naturale. Può essere lo spaventoso senso di vuoto che s’intuisce di là dai suoi occhi in fondo benevolenti, di là dalla sua mitezza predatoria, di là dal suo consistere freddamente nel pensierino unico del giorno? O è l’impressione che dietro quel vuoto ci sia un’anima in cui tutto si equivale sull’altare dell’autopromozione? Forse, più semplicemente, ha ragione Bisignani, “L’uomo che sussurra ai potenti” (Chiarelettere): quella di Grasso è solo “onestà intellettuale”. A favore di telecamera. di Alessandro Giuli   –   @a_g_giuli, 30/5