Napolitano si riprende il governo

Categoria: Firme

Troppi capricci dai partiti su finanziamenti e

legge elettorale. Il Quirinale suona la campanella

Giorgio Napolitano cerca di tenere insieme il marasma che lo circonda, ma quanto più si addentra nella ragnatela politica delle liti tra (e dentro) i partiti, tanto più si affatica e intuisce di poterci restare impigliato dentro per sempre, soffocato nei tanti fili che prova a recuperare, e ritessere, uno per uno. Il presidente della Repubblica è riuscito, nelle sue triangolazioni istituzionali con Enrico Letta, Angelino Alfano e Gianni Letta, a raffreddare i bisticci sulla legge elettorale e, dopo aver tagliato del 10 per cento le spese di mantenimento del Quirinale, ha ottenuto che oggi il Consiglio dei ministri vari la legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti. Queste le linee guida di cui discuterà oggi il governo, dopo le lunghissime consultazioni che ieri hanno impegnato l’esecutivo fino a tarda sera: sostituzione del finanziamento con un meccanismo di erogazioni volontarie, detraibili, da parte dei cittadini anche attraverso il 5 per mille. Secondo la bozza di legge, sarà lo stato a fornire ai partiti spazi fisici, come le sedi, e i partiti si doteranno di uno statuto giuridico conforme all’articolo 49 della Costituzione.

Inoltre il governo intende rendere trasparenti i bilanci dei partiti. Si tratta di un successo del Quirinale, che più di tutti sa quanto l’inedia sia il vero nemico della grande coalizione.

Adesso Napolitano spera di poter allontanare dal proscenio il tramestìo sulla riforma elettorale, malgrado un fortissimo vento di fronda continui a spirare soprattutto dalle parti di Matteo Renzi. “La riforma elettorale va fatta subito, e il Pd deve avere una sua proposta”, ha detto ieri il sindaco di Firenze al quale ovviamente non sfuggono le parole del suo concittadino Denis Verdini, il coordinatore del Pdl che dice: “Se non c’è accordo su tutto, noi non facciamo nemmeno le riforme costituzionali. Chi propone adesso la riforma elettorale evidentemente lo fa per destabilizzare il governo”. Il Quirinale sa che la grande coalizione non reggerebbe a una riforma organica del sistema di voto, la legge elettorale non è materia condivisa, ma argilla nelle mani di ciascuno degli attori politici, ognuno vorrebbe plasmarla, come sempre capita in Italia, a seconda dei suoi più immediati interessi elettorali. Ma sa pure, il presidente, che tra qualche mese la Corte costituzionale si esprimerà contro il porcellum e il suo premio di maggioranza “incongruo”, e dunque un intervento va comunque fatto. Ma come evitare il cortocircuito politico che già si prefigura? E’ sempre possibile adottare lo strumento del decreto, come era già stato ipotizzato ai tempi in cui a Palazzo Chigi sedeva Mario Monti. E’ un’ipotesi maneggiata ancora con estrema cautela, un’idea che serpeggia al confine tra il Quirinale e Palazzo Chigi, nella zona grigia che collega gli uffici tecnici e i consiglieri.

Un decreto, dunque, o forse soltanto la minaccia di un decreto, per aiutare il Pd a superare, tramite una mezza forzatura, i suoi problemi interni, le sue eterne liti per il potere. Sentiti i rappresentanti di tutte le forze politiche, potrebbe essere il governo a proporre quelle rapide, e minime, modifiche al porcellum che metterebbero al sicuro la legge elettorale dai rilievi della Corte costituzionale. D’altra parte questa possibilità non è affatto esclusa dal testo della mozione unica sulle riforme approvata ieri in Parlamento. Un intervento “manutentivo”, l’unico possibile, e largamente condiviso dai vertici di Pd e Pdl. Niente mattarellum e niente doppio turno, come invece propone Romano Prodi che fa l’occhiolino alle grandi manovre avviate da Renzi. Ma si tratta, certo, di un’ipotesi estrema, da scongiurare. Al Quirinale pensano che la discussione vada per il momento rimossa dal centro della scena politica. Così per tutto il giorno, ieri, il governo ha discusso intorno al provvedimento sul finanziamento pubblico ai partiti, una legge utile a rilanciare l’iniziativa politica, a placare i riflessi grillini e anche ad allontanare la grana del sistema di voto dai riflettori della discussione pubblica e dalle strumentalizzazioni che ne fanno gli avversari delle larghe intese. Il senso della doppia operazione quirinalizia – legge elettorale e soldi ai partiti – è questo: visto che Grillo si sta facendo male da sé, perché rivitalizzarlo fra bisticci e obliquità correntizie?

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 31/5

Il Consiglio dei Ministri di questa mattinao ha approvato la fine del finanziamento statale dei partiti