La povertà è dimezzata nel mondo,

ringraziamo l’interesse particolare, altro che

L’Economist cita Onu e Banca Mondiale, dati e cifre sul quarto di secolo appena trascorso, e annuncia il dimezzamento della povertà nel mondo. Dice anche che abbiamo imparato a combattere la povertà, il che è un buon auspicio per il futuro del capitalismo e della globalizzazione. Il profetismo cristiano-sociale, sul quale il Papa gesuita dovrebbe esercitare una occhiuta sorveglianza, vuole beati i pauperes; e va bene ma con misura, mi raccomando, sennò si finisce come con i rischi fatali di Tremonti.

 La Cgil, avida di catastrofi che giustifichino la sua funzione, ci dice che ci vorranno 63 anni per ripristinare la base lavorativa perduta e un decennio per rifare il prodotto interno lordo del 1977. Una boccata d’ossigeno ce l’ha data Ignazio Visco, il governatore della Banca centrale italiana. A una platea mondana e furba, come al solito, ha annunciato verità molto poco mondane: le imprese non investono i loro stessi profitti, e i capitali propri, come dovrebbero, non innovano, e la recessione non è dovuta se non in parte dall’aggiustamento dei conti fatto da Monti, perché per due terzi dipende dalla crisi del commercio internazionale e dalla drammatica rigidità del credito.

 Il sistema bancario deve ristrutturarsi ancora e all’Mps non è successo niente di colossale, nessuno scandalo più grande del mondo, solo episodi di mala-amministrazione monitorati e sorvegliati dall’Istituto centrale e ingigantiti per gola dal sistema mediatico-giudiziario impazzito. Per il resto, i dati su lavoro, prodotto lordo e capacità produttiva, va tutto piuttosto male, e la politica, che non ha tutte le colpe e soprattutto non ne è titolare esclusiva, dovrebbe mediare meglio l’interesse generale e l’interesse particolare (a parte le riforme di Monti che sono state fatte, e bene, ma non applicate dalla pubblica amministrazione e da quanti avrebbero la responsabilità di tradurle in norme attuative e regolamenti).

 Al quadro d’insieme disegnato da Visco, che è uno schiaffo meritato alla esilità concettuale e sindacale e politica della relazione di Squinzi in Confindustria, elusiva e generica, mi sentirei di fare un’obiezione di fondo. Bisogna scegliere. Il problema italiano non è l’interesse generale. Non più, ora che la prospettiva greca è stata evitata e ci si potrebbe teoricamente impegnare per creare ricchezza, cercando e impegnando al meglio nuove risorse, e detassando di brutto il lavoro.

Il problema italiano è l’interesse particolare. Nessuno lo promuove. E’ mal tollerato. E’ civilmente e culturalmente considerato uno sposo della colpa. E’ descritto come un lascivo privilegio dei ricchi, ai quali si consente di stare con le mani in mano e consumare i capitali propri in nome dell’interesse generale che dallo stato dipende, dal pubblico è regolato. La piccola bottega è archeologica, il titolare aspetta che il governo risolva il suo problema, non gli viene neanche in mente – in media – di avere in proprio una responsabilità di conduttore del business e di potere migliorare la propria condizione attivando nuove energie e progetti. Basta passeggiare per una qualsiasi città americana o asiatica o sudamericana, e a quanto dicono oggi perfino in una strada della Grecia che cerca di risollevarsi dalla recessione, per capire che l’interesse particolare o è l’evasione e l’elusione fiscale, la concorrenza sleale e il tirare a campare, oppure è una molla dello sviluppo economico.

Ci saranno i sommersi e i salvati, nel senso che tutta un’area di business deve andare in pensione ed essere sostituita da altro, con ammortizzatori sociali e famigliari e previdenziali che funzionino, allo scopo di rimettere al centro il profitto di impresa e la creazione di lavoro. Ma senza questo squilibrio attivo resteremo quella società passiva, invecchiata, improduttiva, che siamo diventati. E allora, altro che decenni di attesa. La ripresa sul conto dello stato tutore non verrà mai, in un mondo in cui gli altri dimezzano la loro povertà a nostre spese di europei impigriti e bolsi. G. Ferrara, 2/6

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