Fuffa storica. Intesa Cgil-Confindustria (2)

Categoria: Firme

sulla rappresentanza: sbilenca e in ritardo

"Lungimiranza strategica” e “svolta storica” sono alcuni dei titoli che il Sole 24 Ore ha dedicato nel fine settimana all’accordo sulla rappresentanza tra le parti sociali, cioè tra la stessa Confindustria che edita il Sole 24 Ore e i sindacati (Cgil, Cisl e Uil). Simili toni trionfalistici sull’Unità, il quotidiano  fondato da Antonio Gramsci e oggi del Pd, che ha definito l’intesa “una rivoluzione”. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si sono felicitati. Ma in un’Italia in stagnazione strisciante da 20 anni, è davvero possibile cambiare il paese senza scontentare nessuno, anzi d’un tratto rendendo tutti felici? La storia delle riforme più dirompenti negli altri paesi capitalistici ci dice di no, anzi.

L’obiettivo dell’intesa tra le parti sociali non è comunque da disdegnare: si tratta di rendere “esigibili” i contratti collettivi di lavoro, cioè vincolanti sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti. Si è stabilito che almeno due sono le condizioni da rispettare affinché l’esigibilità sia garantita: il contratto deve essere sottoscritto da sindacati che abbiano almeno il 50 per cento più uno della rappresentatività nel settore e poi approvato da una maggioranza semplice dei lavoratori. Dopodiché, non saranno accettati scioperi, sabotaggi e ricorsi giudiziari contro l’intesa “esigibile”. Per ammissione dello stesso Sole 24 Ore, si  tenta di riproporre e blindare lo schema seguito tra 2010 e 2011 da Sergio Marchionne, capo di Fiat, quello degli accordi con i sindacati più rappresentativi poi ratificati da referendum in fabbrica. Logica stringente, non c’è che dire, ma perseguita attraverso meccanismi discutibili e in parte inefficienti. sPer esempio sarà affidata a Inps e Cnel, organizzazioni notoriamente innervate di ex sindacalisti, la valutazione del peso effettivo dei sindacati firmatari, ma con quale garanzia di terzietà? Sorvolando poi sul fatto che oggi le aziende possono operare trattenute sindacali soltanto per i sindacati firmatari degli accordi collettivi, e quindi le “deleghe” utili a pesare i sindacati saranno solo quelle dei soliti Cgil-Cisl-Uil, tagliando fuori tutti gli altri (più oltranzisti o riformisti che siano). Perfino sulla contrattazione di secondo livello, quella aziendale, si cerca di restringere la platea ai soliti tre. Roberto Di Maulo, segretario generale della Fismic (molto presente nelle fabbriche Fiat), parla di patto “consociativo” per “blindare un’egemonia sulle forze del lavoro, rendendo i firmatari degli interlocutori forti e obbligati di un governo debole e diviso”. Altro gustoso “particolare”: non è prevista nessuna sanzione per chi non dovesse accettare come vincolante il contratto approvato a maggioranza! Per non dire, infine, del fattore tempo: quest’intesa arriva con un ritardo di tre anni rispetto alle vie di fatto seguite da Marchionne, che nel frattempo ha abbandonato Confindustria; varrà solo per i prossimi rinnovi contrattuali e una volta che Inps e Cnel avranno censito i vari sindacati. Insomma, con il pil in discesa dal 2009, e una stagnazione ventennale alle spalle, non si vede come questo “accordo storico” ci possa aiutare qui e ora. Foglio, 4/6