CALIFANO, LITTLE TONY, FRANCA RAME, ZINCONE:

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L’IPOCRISIA CHE TRIONFA DOPO LA MORTE

Barbara Palombelli per "Il Foglio"

Paradiso. Settore spettacolo, grandi arrivi negli ultimi tempi. In battaglia, trafelata e appassionata come tutti l'hanno sempre vista sulla terra, arriva Franca Rame. Nemmeno a dirlo, attori e cantanti sono riuniti davanti a un maxischermo 5D. Lei, Franca, bellissima, viene celebrata per ore, per giorni.

Esattamente come gli ultimi clienti, Franco Califano e Little Tony. Anche per loro, centinaia di ore di filmati d'epoca, lacrime e rimpianti. Sulla terra, osservano i defunti, veniamo celebrati come non fummo in vita... le anime pure sorridono e non serbano rancori. Vogliamo immaginare che lassù, almeno lassù, ci sia un po' di pace. Impossibile, tuttavia, non vedere l'infinita ipocrisia che viene somministrata ad artisti amatissimi, ma fuori dai giri dei grandi agenti e dalle grandi produzioni.

Gli spettacoli teatrali di Dario Fo e Franca Rame passavano in tv forse ogni decennio, come autori e attori venivano considerati politicamente scomodi e mentre il mondo li omaggiava gli italiani li riducevano a dei collaboratori del politico incazzato di turno.

Troppo poco, troppo diversi sono i capolavori delle teche che abbiamo potuto rivedere in morte di Franca, con il rimpianto che non ci fosse lei - in uno studio televisivo - a raccontarci le vere storie, i retroscena, le curiosità. Ingiustizie efferate, di cui nessuno risponderà mai. Sei vivo? Non mi interessano i tuoi cinquant'anni di palcoscenico.

Sei morto? Eri fantastico, unico e irripetibile. Franco Califano veniva invitato da noi radiofonici per amore, per amicizia. Qualche amico lo intervistava nei tg, diciamo una volta ogni due, tre anni. Franco abitava in una casetta modesta, in condizioni davvero di povertà e per settimane non si sono trovati i denari per fare fronte alle spese del funerale e della sepoltura. I grandi circuiti lo ignoravano.

Little Tony, con passione, si adoperava nei locali e girucchiava sui litorali con la sua bellissima voce, regalandola ai pochi che sapevano trovarlo. Avrebbe desiderato una serata monografica tutta per lui, nessuno gliel'ha mai offerta o concessa. Come mai la memoria è così oscillante e capricciosa, o distratta e crudele? Da morto, non si poteva accendere un canale tv senza risentire il suo urlo, la sua voce eccezionale: non era soltanto un imitatore di Elvis, era un grande interprete italiano.

Due parole su colleghi giornalisti di cui per affetto e pudore non farò i nomi. Se ne sono andati alcuni dei migliori, erano senza collare e senza etichette. Sono stati celebrati con mea culpa e atti di dolore dai loro killer. Umiliati e distrutti dai grandi giornaloni, si erano ricavati nicchie di carta apparentemente felici.

Ma dentro i loro stomaci, nelle loro viscere, c'era l'amarezza che forse li ha perfino consumati più rapidamente del loro tempo esistenziale. Quell'amarezza di chi sa di essere stato messo da parte senza motivo, quella sensazione che prima o poi provano tutti - dai papi ai re, dai capi di stato ai leader carismatici - consuma gli animi moltissimo.

E li offende quando si trasforma in rimpianto ipocrita. Ci dovrebbe essere un confine, oltre il quale la realtà non dovrebbe essere oltraggiata. Quel limite dovrebbe essere la morte. A quell'appuntamento, l'ipocrisia non dovrebbe essere ammessa.