Non spiamo gli americani

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«Non puoi avere il 100% di sicurezza, il 100% di privacy,

e zero inconvenienti. Come società, dobbiamo fare una scelta». Messo con le spalle al muro dagli articoli del «Guardian» e del «Washington Post», che hanno rivelato l’esistenza di enormi programmi per la sorveglianza di telefoni e internet, il presidente Obama ha deciso di reagire rivendicando la legalità e l’utilità di questi controlli. Quindi ha detto che è pronto ad avere un dibattito sul tema, come non era avvenuto col suo predecessore repubblicano, rispondendo così anche a chi lo accusa di aver proseguito senza discernimento le politiche di Bush. Se giovedì vi eravate scandalizzati per la notizia che la NSA ha chiesto alla compagnia telefonica Verizon di consegnare i dati di tutte le chiamate fatte dai suoi clienti, oggi sarete devastati dalla rivelazione che le più grandi aziende digitali collaborano a un programma per il controllo a tappeto di internet. L’operazione si chiama Prism ed è stata scoperta dal «Washington Post», che ha pubblicato una sua presentazione di 41 pagine scritta nell’aprile scorso. Prism può «raccogliere direttamente le informazioni da questi provider americani: Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, PalTalk, AOL, Skype, YouTube, Apple». E stavolta non si tratta solo di sapere chi chiama chi, ma di vedere audio, video, mail, chat, foto, conversazioni Skype, documenti, social network. Tutto, in sostanza. Per il «Wall Street Journal», anche le carte di credito sono controllate. Le compagnie hanno smentito, dicendo che proteggono i clienti e danno informazioni solo quando la legge lo richiede. Precisazione inutile, perché la legge lo richiede, in base al Fisa e Patriot Act, e loro devono obbedire.

Queste notizie in realtà sorprendono solo gli sprovveduti, perché ormai chiunque abbia una minima esperienza digitale sa che la privacy non esiste più. Il discorso, quindi, gira tutto sulla legalità, l’utilità e l’opportunità di simili controlli. Il direttore della National Intelligence, James Clapper, ha detto che «le informazioni raccolte sono tra le più importanti a livello internazionale, e vengono usate per proteggere la nostra nazione da un’ampia varietà di minacce». Poi Obama ha parlato, a margine del vertice in California col collega cinese Xi Jinping, facendo una difesa più politica: «Nessuno ascolta le vostre telefonate: se l’intelligence vuole farlo, deve ricorrere a un giudice». Quanto ai controlli su internet, «non riguardano i cittadini americani o chi vive negli Usa».

I programmi sono classificati, ma non segreti, perché i parlamentari li conoscono: «Sono stati autorizzati dal Congresso e approvati da maggioranze bipartisan. Il Parlamento è costantemente informato e i giudici supervisionano tutto. Se poi la gente non si fida di esecutivo, Congresso e giudici federali, allora abbiamo un problema». Obama ha detto di essere pronto ad avere un dibattito, perché lo considera un segno di maturità. Così si è tolto dalla scarpa il sasso di chi gli rimprovera di aver adottato pedissequamente le politiche di Bush. Lui la differenza l’ha fatta chiudendo la guerra in Iraq, che non aveva nulla a che fare con al Qaeda, e programmando il ritiro dall’Afghanistan. Sul piano interno, però, non voleva correre rischi. Quindi ha valutato i programmi di sorveglianza, li ha giudicati legali e utili a prevenire attacchi terroristici, e li ha tenuti in vita. Se gli americani non sono d’accordo, hanno a disposizione il processo democratico per smentirlo e cambiare.

Pochi tra i democratici sono critici, mentre alcuni repubblicani cercano di sfruttare lo scandalo, anche se per loro è difficile criticare programmi iniziati da Bush. Obama ha lanciato a tutti la sua sfida: se credete che non servano, toglieteli voi.

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