Il fisco saprà per chi voti. E' caccia aperta

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Altro che "segreto dell'urna": la norma che "abolisce" i fondi

pubblici ci impone di dichiarare le preferenze elettorali. Avevano già i nostri redditi. E anche i nostri conti bancari, le carte di credito.  Tutte le assicurazioni stipulate.  I dati sanitari. I lavori. Avevano i nostri scontrini. Le targhe delle nostre auto. Le nostre case. I quadri che avevamo comprato o ereditato.  Ogni grammo d’oro acquistato o ricevuto da papà, mamma e perfino dalla bisnonna. Hanno il nostro stato civile, la fedina penale, conoscono i nostri figli, i computer, la televisione, gli iPad, i numeri di telefono della nostra famiglia, gli indirizzi di casa e ufficio, tutte le bollette: acqua, luce, gas, comunicazioni. Non sfugge un nostro viaggio, una vacanza, un biglietto aereo, una crociera in nave. Grazie a scontrini, bollette del telefono e talvolta intercettazioni il Grande fratello dello Stato italiano è in grado di conoscere perfino il cuore dei suoi cittadini: amicizie, amori, passioni, doppie vite. C’era una sola cosa in cui lo Stato non poteva mettere becco, perché protetta dalla carta fondamentale della Repubblica italiana: il voto. Dice l’articolo 48 della Costituzione che «il voto è personale ed eguale, libero e segreto». E invece sarà segreto per l’ultima volta in questo 2013. Perché l’articolo 48 della Costituzione è stato di fatto abolito da Enrico Letta.

Dice la nuova legge sul finanziamento ai partiti che dal 2014 i cittadini potranno sostituire l’attuale sistema di rimborso delle spese sostenute in campagna elettorale devolvendo ai partiti il 2 per mille dell’Irpef nella loro dichiarazione dei redditi. Spiega lo stesso Letta nella relazione che accompagna il suo disegno di legge che «le scelte saranno effettuate in sede di dichiarazione annuale dei redditi mediante la compilazione di una scheda recante l’elenco dei partiti aventi diritto, sulla quale il contribuente può indicare un unico soggetto cui destinare il due per mille della propria imposta sul reddito». Dal 2014 dunque gli italiani daranno al fisco insieme alla propria dichiarazione dei redditi una scheda dove sarà indicato il partito che vorranno finanziare. Come le dichiarazioni dei redditi dunque il voto degli italiani, o di quella parte di italiani che vorrà finanziare il partito del cuore, finirà insieme alla dichiarazione dei redditi nelle mani dell’Agenzia delle Entrate di Attilio Befera. E rischia di finire in quel grande frullatore della privacy degli italiani che è il Sid (Sistema di interscambio dati), quella banca dati, il Grande fratello che il fisco italiano ha costruito per scovare gli evasori. La preferenza politica del singolo cittadino verrà dunque frullata insieme al redditometro, ai propri dati bancari, assicurativi, sanitari e familiari. Un’arma micidiale nelle mani di qualsiasi regime autoritario, ma rischiosa anche in una democrazia come quella italiana.

Se il fisco avrà in mano anche il dato della preferenza politica dei propri contribuenti, potrà venire la tentazione (fosse anche a funzionari infedeli) di usare impropriamente quell’arma nei confronti dei propri avversari politici. Decidendo ad esempio di compiere verifiche fiscali selezionando “politicamente” i primi campioni, le vittime predestinate. Pensate ad esempio con un governissimo Pd-Pdl-Scelta civica in carica che cosa potrebbero rischiare gli elettori del Movimento 5 Stelle che volessero finanziare direttamente Beppe Grillo e i suoi. Ma naturalmente le vittime “politiche” del fisco italiano potrebbero essere altre con il mutare della situazione politica. Quale sarebbe stata con un’arma così in mano in questi anni la guerra pro o contro Silvio Berlusconi? E chi l’avrebbe vinta mettendo con il fisco in ginocchio tutti i sostenitori dell’uno o dell’altro fronte?

La scelta operata nel disegno di legge Letta sul finanziamento ai partiti è dunque clamorosa e mina le basi stesse della democrazia. Non a caso quando tre lustri fa - era il 1997 - fu scelto per finanziare i partiti politici un sistema quasi identico, che devolveva il 4 per mille dell’Irpef, fu esplicitamente esclusa la possibilità di dichiarare il partito a cui fare andare quei soldi. Anche all’epoca i partiti esistenti si resero conto del rischio che correvano: restare con le casse all’asciutto. Perché era evidente a loro che ben pochi avrebbero dato il proprio 4 per mille Irpef al sistema dei partiti nel suo complesso: complicato chiedere a un berlusconiano di finanziare Massimo D’Alema e Valter Veltroni, e viceversa. E in effetti andò malissimo: solo lo 0,5% dei contribuenti versò il proprio 4 per mille, e non si andò oltre i 2 milioni di euro attuali. Ma fu esplicitamente esclusa ogni ipotesi di meccanismo che avrebbe consegnato al fisco le preferenze politiche degli italiani, perché venne ritenuta incostituzionale violando la segretezza del voto.

Letta invece ha voluto dare al fisco questo strumento micidiale, in grado di minare alle radici il nostro sistema democratico. Lo ha fatto forse perché ha voluto correre troppo in fretta, tanto è che la presidenza del consiglio dei ministri ha motivato con l’urgenza la richiesta di non sottoporre il testo alla necessaria Analisi di impatto sulla regolamentazione esistente (che avrebbe segnalato i rischi). Formalmente i tecnici che hanno scritto il disegno di legge sostengono che la Costituzione sarebbe rispettata perché qui il partito su cui il contribuente mette la “x” è quello da “finanziare”, e potrebbe essere diverso da quello che segretamente si vota. Ma la spiegazione è da arrampicata sui muri: è già difficile scegliere un voto, figurarsi se un contribuente è disposto a versare propri soldi a un partito che nemmeno vota. C’è quindi un solo antidoto: fare saltare subito in Parlamento quel 2 per mille ideato in modo così diabolico. Mina la convivenza civile assai più della vecchia generosità dei rimborsi elettorali. Tanto più che con il nuovo sistema ai partiti finirebbe comunque più o meno la stessa somma pubblica che veniva data prima...

di Franco Bechis, Giornale 8/6