Ottantadue esperti per rifare la Patria,

Categoria: Firme

un Cav. per sbloccare l’Europa

E’ stata la settimana dei saggi, dei numeri dati e ricevuti, e perfino di qualche saggezza in un’agenda politica dove l’emergenza a volte appare come una distrazione di massa.

Martedì (4 giugno) il governo Letta ha firmato un decreto per nominare i 35 esperti della commissione per le Riforme. Si aggiungono al tavolo anche sette relatori. Sono quasi tutti professori universitari, devono collaborare con il Comitato dei 40 parlamentari (20 deputati e 20 senatori) e partorire entro ottobre una proposta di riforma istituzionale. Così arriviamo alla quota iperbolica di 82 esperti di varia estrazione che si occupano modestamente di (ri)fare la Patria in presenza degli italiani di sempre. Come? Un disegno di legge costituzionale, impacchettato dal Consiglio dei ministri di giovedì (6 giugno), fissa i passaggi della Grande Riforma. S’apre la magnifica era del “cronoprogramma”. Sembra il giro d’Italia. Qual è l’obiettivo? Non è ancora uscito dalle brume della politica. Il premier Enrico Letta assicura: il governo sarà neutrale. E i partiti? Il Pdl cerca come un rabdomante un’elezione diretta del capo dello stato, il Pd non ha una linea ma il solito riflesso pavloviano: votare contro tutto quello che potrebbe piacere a Berlusconi.

Nella commissione sembra prevalga un orientamento presidenzialista (semi, non esageriamo). Gli esperti sono stati battezzati dallo scettro del presidente Napolitano che cerca di teleguidarne i passi. Si chiama moral suasion. Basterà? Si parte dalla presunzione antropologica che i professori siano sobri e saggi. Nel frattempo questa colonna sismografica registra la frase della saggia Lorenza Carlassare: “Le riforme da noi hanno lo scopo di delegittimare la Costituzione esistente e di dare un po’ di sostanza a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre. Io non ci sto e quindi la mia idea sarebbe di portare la mia voce dissidente. Se vedo che questi argomenti trovano sordi gli altri io immediatamente mi dimetto”. Un annuncio anticipato di dimissioni anticipate.

Ventiquattr’ore dopo aver siglato il decreto sui saggi, il premier Letta si ritrova l’agenda del paese squadernata a Otto e Mezzo (mercoledì 5 giugno, in diretta su La7). Crisi. Imu. Iva. Disoccupazione. Soluzioni? “Dipendono dalle coperture visto che non stampiamo noi i soldi e non ci sono soldi in più”. Il desiderio tuttindietrista e restauratore vacilla.

Trascorre un altro giorno (giovedì, 6 giugno) e, alle 14,30 nella Sala del Mappamondo, il direttore generale dell’agenzia delle Entrate, Attilio Befera, dà una rinfrescata alla memoria dei parlamentari.

Audizione in commissione Finanze. Ventuno pagine di istruzioni di volo per ritornare sani e salvi sulla terra. “L’Agenzia delle entrate ha dato un significativo contributo per la tenuta dei conti pubblici. Per il 2012 l’Agenzia aveva un obiettivo di riscossione complessiva pari a dieci miliardi di euro. A fine esercizio il risultato complessivo raggiunto è stato pari a circa 12,5 miliardi di euro. Da quando l’attività di riscossione coattiva è stata ricondotta in ambito pubblico si è passati da 3,8 miliardi di euro incassati nel 2005 agli oltre 7,5 del 2012”. Mentre si cercavano soldi che non c’erano e le banche giocavano a credit crunch, l’Agenzia delle entrate ha fatto da banca del sistema velocizzando i rimborsi: “Nei primi cinque mesi dell’anno sono stati erogati in conto fiscale a circa 19.500 imprese oltre 4,8 miliardi di euro”. Come si conciliano questi numeri con il Letta che in tv annunciava “per i prossimi mesi” un intervento su Equitalia per “coniugare fedeltà fiscale e interventi ex post con modalità eque”? Volere non è sempre potere. E il tema resta quello sospirato dal premier: “Non stampiamo noi i soldi…”.

Non si stampano. E non si prestano. I dati di aprile pubblicati ieri da Bankitalia sono lapidari: “I prestiti al settore privato hanno registrato un calo su base annua del 2,3 per cento (1,7 per cento a marzo)”. Un cortocircuito di crisi dell’economia reale, credito e architettura dell’euro che Silvio Berlusconi ieri ha ricordato con un’intervista al Foglio. Il Cavaliere ha riacceso il faro sulla vera questione politica europea: “Bisogna che il governo sappia con autorevolezza ingaggiare un braccio di ferro, senza strepiti ma con grande risoluzione, allo scopo di convincere i paesi trainanti dell’Europa, e in particolare la Germania di Angela Merkel, che siamo di fronte a una alternativa secca: o si rimette in moto in forma decisamente espansiva il motore dell’economia, compreso quello finanziario legato alla moneta unica, uscendo dalla paralizzante enfatizzazione della crisi da debito pubblico, oppure le ragioni strategiche della solidarietà nella costruzione europea, dall’unione bancaria a tutto il resto, si esauriscono e si illanguidiscono fino alla rottura dell’equilibrio attuale”. Nella settimana dei saggi per decreto, un Cavaliere che ha spunti di saggezza. Ha acceso il faro. Vedremo presto se quello che inventò Vedrò, Enrico Letta, lo vedrà.

© - F.Qdi Mario Sechi