Guerra alla Bce. C’è un giudice a Karlsruhe

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lavora contro la nostra economia. Weidmann

(Bundesbank) attacca il piano salva euro di Draghi. Merkel lo difende ma Borse e Bond si deprimono

Le Banche centrali tentennano solo un momento, per decisioni autonome o pressioni esterne che siano, e i mercati subito sussultano e si deprimono. E’ il segno del potere senza precedenti degli “alchimisti” che gestiscono la politica monetaria, come li ha chiamati in un suo informatissimo libro il giornalista del Washington Post Neil Irwin, e quindi il segno di quanto possa costare oggi il venir meno del sostegno degli stessi Istituti centrali alle economie avanzate. Ieri infatti, mentre si rafforzavano le voci di una Fed pronta a un graduale rientro dalle misure straordinarie, la Borsa di Tokyo ha chiuso in negativo (meno 1,45 per cento) dopo la delusione per le mancate mosse aggiuntive della Bank of Japan. Ed è andata ancora peggio in Europa, con i listini appesi all’avvio del processo della Corte costituzionale tedesca alla Banca centrale europea (Milano ha perso l’1,6 per cento, Parigi l’1,4 e Francoforte l’1), e gli spread con i Bund tedeschi che sono tornati a divaricarsi (ha chiuso a 277 punti il differenziale Btp italiani-Bund, dopo aver toccato quota 285). Alla Corte di Karlsruhe è infatti iniziato il dibattimento sul ricorso presentato da alcuni cittadini tedeschi, e sostenuto dalla Bundesbank, contro il piano di acquisto illimitato dei titoli a breve termine da parte della Bce (l’Omt, o Outright monetary transactions). Il timore, dunque, è che dalla sentenza autunnale possa uscire mutilato quello che Mario Draghi ha definito il programma di maggiore successo della Bce, lo stesso Omt che da settembre a oggi ha fatto calare drasticamente i tassi d’interesse sui debiti sovrani dell’Eurozona, rendendoli più sostenibili. D’altronde il presidente dell’Alta corte, Andreas Vosskuhle, aprendo ieri l’udienza di due giorni, ha messo in chiaro che “i giudici non terranno conto del fatto che le misure adottate abbiano avuto un buon risultato. Si occuperanno soltanto della legittimità del programma” in base alla Carta costituzionale di Berlino. Soprattutto, però, pesa la contrarietà esplicita della Bundesbank, azionista di maggioranza della Bce. Ieri il presidente della BuBa, Jens Weidmann, ha svolto la sua arringa contraria alle scelte espansive del presidente Draghi, spiegando che il confine tra la politica monetaria e quella fiscale viene reso “più confuso” dal programma Omt. E aggiungendo che gli acquisti di bond potrebbero compromettere “il ruolo disciplinatorio” dei mercati finanziari, che tendenzialmente premiano i comportamenti corretti e puniscono quelli errati. I ragionamenti dell’ex consigliere economico di Angela Merkel, evidentemente, hanno impressionato di più gli investitori di quanto non abbia fatto il sostegno a Draghi arrivato sempre ieri dal governo di Berlino, attraverso le parole della cancelliera e del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble.

“Non c’è dubbio, stanno provando a fermare la Bce”, dice al Foglio Ambrose Evans-Pritchard, dal 1991 al Telegraph, prima come corrispondente da Washington, poi da Bruxelles e ora editorialista di punta del quotidiano inglese. “E se riescono a fermare la Bce – continua riferendosi ad ampi settori dell’establishment tedesco – l’euro muore. La ‘put di Draghi’”, cioè l’impegno a sostenere i debiti sovrani dei paesi dell’Eurozona a certe precise condizioni, “è l’unico scudo contro la ripresa della speculazione”. Il problema, secondo Evans-Pritchard, è che il difficile compromesso raggiunto l’anno scorso, quando di fatto Merkel diede il benestare al piano Omt di Draghi, sta venendo a mancare, complici le elezioni tedesche di settembre alle porte e la voglia dei partiti politici della prima economia dell’Eurozona di mostrarsi inflessibili nell’uso dei soldi del contribuente. Ergo: zero condivisione dei rischi con i paesi dell’Europa (specie meridionale). Anche Jörg Asmussen, membro del Comitato esecutivo della Bce, che Draghi ha scelto come difensore nell’aula di Karlsruhe forse per il suo passaporto tedesco, secondo Evans-Pritchard sarebbe in cuor suo sulla linea ortodossa della BuBa. “Contemporaneamente Merkel ha iniziato a dire che i maggiori problemi dell’Eurozona sono risolti, che il rigore fiscale funziona e le riforme sono avviate”. Così, per l’analista, anche l’economia italiana rischia di rimanere stritolata.

Evans-Pritchard, commentando l’intervista al Foglio dell’ex presidente Silvio Berlusconi che ha chiesto al governo Letta di ingaggiare “un braccio di ferro” con Berlino per potenziare il ruolo della Bce, dice di ritenere anche lui che l’Istituto centrale abbia bisogno di tutto fuorché di paletti: “Draghi sa perfettamente cosa fare, come muoversi in linea con le altre Banche centrali quali la Fed o la BoJ o la Bank of England. Lo sa perché fa parte di una comunità globale, finanziaria e intellettuale, che ragiona in termini noti ma che sono a oggi apparentemente incomprensibili per l’establishment tedesco”. “Berlusconi potrà pure essere dipinto come un ‘clown’ – continua il columnist del Telegraph – ma è l’unico leader politico italiano che in questo momento sta dicendo la verità da un punto di vista macroeconomico: la stretta fiscale, la politica monetaria non sufficientemente espansiva e il processo di deleveraging delle banche si alimentano a vicenda, aggravando la situazione dell’economia reale. Né si può accettare che l’unica speranza sia la ripresa dell’export verso Stati Uniti e Cina: i primi potrebbero rallentare e Pechino manifesta scompensi nel settore del credito”. Evans-Pritchard loda il pragmatismo degli Stati Uniti, dove l’intervento post crisi è partito dal sostegno deciso alle banche, e indica – come prova definitiva del fallimento europeo – i dati sempre più divergenti dell’indebitamento privato e pubblico, oltre che del tasso di disoccupazione, tra le due sponde dell’Atlantico.

Chi assicura che un “braccio di ferro” con Merkel funzionerà? “Occorre mettere in conto che i tedeschi non batteranno ciglio, saranno pronti a fiutare il bluff di chi minaccia un’uscita dall’euro ma poi non è pronto a sostenerne le conseguenze. Berlusconi però ha ragione: se si continua così, la maggioranza dei paesi europei rimarrà vittima di questo meccanismo. Bisogna dunque formare una coalizione”. Non però con le solite conferenze stampa congiunte tra i leader dei paesi mediterranei: “Il governatore della Banca d’Italia (Ignazio Visco, ndr) dovrà cominciare a dire la sua nel Consiglio della Bce. Lo stesso vale per il banchiere centrale spagnolo e via dicendo. In teoria non dovrebbero fare gli interessi dei loro paesi d’origine, ma quelli dell’Unione. Tuttavia, di fronte a una Bundesbank che si schiera apertamente con motivazioni di stampo politico e nazionalistico, non si vede perché gli altri non debbano difendere i loro interessi nelle sedi opportune. Che sono anche quelle dei Consigli dei ministri a Bruxelles”. Si creerebbe un problema, però, se anche a quel punto Berlino non cedesse per esempio sulla possibilità di rendere la Bce un prestatore di ultima istanza come lo sono Fed e Bank of England: “Allora però la decisione spetterebbe davvero alla Germania. E la soluzione migliore sarebbe l’uscita di Berlino dalla moneta unica”. Non è una boutade, Evans-Pritchard spiega perché: “Se l’Italia lasciasse l’euro, la sua valuta subirebbe una svalutazione di circa il 25 per cento, e quindi un parallelo aumento del valore del suo debito denominato in euro. Certo, il vostro paese ha un avanzo primario e un debito che è perlopiù in mani italiane, oltre che una ricchezza patrimoniale diffusa e una manifattura con capacità di esportare, nonostante per troppo tempo i salari siano aumentati senza sosta e senza essere legati ad aumenti della produttività. Ma ripagare il debito avrebbe un costo significativo. Per Berlino non sarebbe così”.

L’editorialista del Telegraph come extrema ratio si immagina altrimenti un “momento Badoglio”, con una leadership italiana che di punto in bianco comunica: “Non ci stiamo più”. Qualcuno lo giudicherebbe un disonore, conclude Evans-Pritchard, “ma oggi è certo che se anche la ‘svalutazione interna’ riuscisse nel vostro paese, la traiettoria del debito pubblico rimarrebbe esplosiva”.

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp