Mistero Zanonato

Categoria: Firme

C’è un motivo se Bersani sorride ogni volta che il ministro

dello Sviluppo fa imbestialire il Pdl

Renato Brunetta si è un po’ arrabbiato, Angelino Alfano ha comprensibilmente chiesto spiegazioni a Enrico Letta, e lui, il presidente del Consiglio, prudente com’è, per un attimo, ma solo per un attimo, ha sospettato di Pier Luigi Bersani, cioè dell’ex segretario che ha ripreso a fare manovra politica nel marasma pre-congressuale del Pd. Lui, Bersani, è il grande elettore di Flavio Zanonato, cioè il ministro dello Sviluppo che, scavalcata la cautela allusiva del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, ha bruciato in effigie la bandiera elettorale del Pdl: “L’aumento dell’Iva è inevitabile”, specie se ritocchiamo l’Imu come vuole Silvio Berlusconi. E insomma l’Iva, che forse non sarà aumentata (ma più probabilmente sì), è da qualche giorno il primo caso di polemica intragovernativa nei pacifici tempi delle larghe intese, nelle stanze di Palazzo Chigi dove più nessuno alza la voce ormai dai tempi della burrascosa convivenza tra il Cavaliere e Giulio Tremonti, nei corridoi in cui Letta e Alfano hanno imposto i loro modi orientali, la regola del silenzio, e hanno persino diviso in tre livelli il mondo della politica grancoalizionista: il governo (dove si tace e si deve andare d’accordo), la zona grigia tra governo e gruppi parlamentari (dove si negozia ma sempre si tace) e infine, lontani e separati da tutto il resto, i partiti (dove si litiga liberamente).

Ma ecco che un ministro, Zanonato, si sbilancia, frantuma la regola della muta convivenza, e rivolto al Pdl dice che “l’aumento dell’Iva è inevitabile”. Un botto nella palude della grande coalizione. E’ dovuto intervenire Letta in persona, troncare e sopire; il presidente del Consiglio ha messo nella stessa stanza Brunetta e Saccomanni perché si intendessero, ma nel Pdl s’agita comunque incontrollabile ogni genere di sospetto, “Zanonato è Bersani”, dicono. Anzi, “di Bersani è l’intero ministero dello Sviluppo”. Il capo di gabinetto, Goffredo Zaccardi, è lo stesso che fu di Bersani, e bersaniani sono quasi tutti, persino la segretaria particolare di Zanonato, Silvia Tacco, era l’assistente della segretaria storica di Bersani.

“Ho parlato con Letta, ti vogliamo proporre ministro, la cosa dovrebbe essere fatta e ti chiederanno dopo”. Quando ad aprile Flavio Zanonato, ancora sindaco a Padova, ricevette questa telefonata del segretario del suo partito quasi non ci credeva; e non ci credevano nemmeno i suoi colleghi del Pd, nemmeno Massimo D’Alema e Giuliano Amato, che tanta parte avevano avuto nella composizione del nuovo governo. Perché Zanonato? Perché le vite e le carriere di questi due ex comunisti si sono sempre incrociate, e quando Bersani, sconfitto e un po’ rassegnato, ha avuto la possibilità di inserirsi nella tessitura complicata del nuovo esecutivo di larghe intese, ha pensato al ministero dello Sviluppo, dove ha lasciato tanti suoi uomini nei posti chiave (i due direttori generali con competenze di spesa, Carlo Sappino e Andrea Bianchi, e poi ancora il vice-capo di gabinetto Simona Moletti, moglie di Sappino), e ha pure pensato al sindaco di Padova Zanonato, suo amico, che ha poi contribuito a riportare al ministero altri uomini di sicura abilità e fiducia che erano stati allontanati. Come il capo di gabinetto Zaccardi, una specie di ministro ombra che “tiene stretto stretto Zanonato”, il consigliere di stato che fece le famose “lenzuolate” con Bersani e che fu poi sostituito da Corrado Passera. La lista è lunga parecchio, e sono tutti i luoghi strategici dello Sviluppo, il capo ufficio legislativo, il direttore generale per le infrastrutture energetiche, quello per l’energia nucleare, quello dell’incentivazione delle attività industriali, quello della politica industriale, quello per la politica comunitaria e pure l’ufficio per gli affari generali e le risorse. Dunque c’è più di un motivo se nel Pdl, ma anche nel Pd, guardano Zanonato e in filigrana vedono Bersani, il redivivo, l’ex segretario tornato a navigare tra le correnti agitate del partito che si avvia a un tormentoso congresso dal quale emergerà un leader destinato a difficile convivenza con Enrico Letta. Nelle stanze del governo, a Palazzo Chigi, tutti, anche gli uomini del Pdl, sanno che evitare l’aumento dell’Iva a luglio è quasi impossibile, che tutt’al più si può tentare un’acrobatica rimodulazione della tassa, e che dunque Zanonato ha perfettamente ragione. Eppure esiste un patto implicito, delicato e inconfessabile, che persino il ministro dell’Economia, Saccomanni, l’uomo dei conti, rispetta: non si incendiano le bandiere elettorali altrui. E dunque deriva da qui una lunga catena di sospettose implicazioni. Quella di Zanonato è stata un’altra gaffe, come la proposta sviluppista di tenere chiusi i negozi al sabato? O è stato piuttosto un avvertimento politico di una precisa corrente del Pd?

© - F.Q.di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo