Sta per scoccare l’ora fatale. Ipotesi

Categoria: Firme

sulla decisione Cost. del 19 giugno (nei palazzi, al Quirinale)

La fine della guerra civile giudiziaria dipende anche dalla Consulta. Non è credibile un ribaltone alla Bersani

“Sostituire all’interno della maggioranza Silvio Berlusconi con Vito Crimi e Roberta Lombardi non è cosa di per sé facilissima. E anche fosse, credo che difficilmente un ribaltone potrebbe incontrare la sensibilità politica di un uomo come Giorgio Napolitano”, dice Emanuele Macaluso, che di quella sensibilità presidenziale, è noto, condivide qualche sfumatura. E dunque il Quirinale resta il contrafforte più solido delle larghe intese e di una maggioranza agitata dai guai giudiziari del Cavaliere e dai progetti obliqui, minacciosi e allusivi, che vengono coltivati nei corridoi meno esposti del Pd, dove si maneggia incautamente la parola “ribaltone” mentre, alla luce del sole, l’ex segretario Pier Luigi Bersani spaventa Enrico Letta recuperando il vecchio corteggiamento al mondo in mezza decomposizione di Beppe Grillo: “Se questo governo non regge esiste un’altra maggioranza possibile”. Una mossa dalla tempistica non certo casuale, tra i movimenti occulti di Massimo D’Alema e Matteo Renzi, a pochi giorni dalla sentenza con la quale, domani, la Corte costituzionale dovrà decidere intorno al legittimo impedimento di Berlusconi nel caso Mediaset. E tutti sanno che da questa sentenza dipende forse l’intera impalcatura della grande coalizione, se ne parla infatti molto nei territori di confine tra Palazzo Chigi e la presidenza della Repubblica, tra gli amici di Napolitano, tra “i saggi”, alcuni dei quali oggi sono ministri di Letta. E non è un dettaglio che il relatore del caso Berlusconi, alla Consulta, sia Sabino Cassese, che considera la giurisdizione senza fanatismo.

“La Corte non darà torto a Berlusconi, ma nemmeno gli darà ragione fino in fondo”, dice Rino Formica, l’ex ministro socialista, anche lui tra gli amici storici del presidente della Repubblica. “I giudici metteranno la palla in fallo”, opina, “diranno che gli impegni istituzionali di Berlusconi erano in effetti causa di impedimento ma che il giudice ordinario può decidere se l’impedimento vada utilizzato o meno”, e insomma l’intero dossier, alla fine, dice Formica, precipiterà nelle mani della Corte di Cassazione, presieduta da Giorgio Santacroce, eletto il 7 maggio dal plenum del Csm alla presenza di Napolitano. Chissà. Ad Arcore sono sospettosi e rispettosi, secondo l’ultima versione dell’umore del Cavaliere, ma in effetti si respira una cert’aria di elusivo rinvio nei Palazzi dei cosiddetti poteri neutri. Fosse davvero così, allontanata la prima bomba giudiziaria, il meccanismo delle larghe intese potrebbe guadagnare tempo, prospettiva, tirare il fiato, secondo l’antica strategia del temporeggiamento. Congelata questa grana, esclusi i processi di primo grado e d’appello (che da questo punto di vista preoccupano meno), per il Cavaliere e per il sistema istituzionale tutto si riproporrà tra settembre e novembre, con sentenze che contemplano la possibilità d’interdizione dai pubblici uffici. Ma per allora Letta prevede di aver impostato il grosso della sua opera di governo, “a ottobre le riforme costituzionali saranno in Parlamento”, ha detto il ministro Gaetano Quagliariello, e l’avvio delle riforme viene considerato dagli ambienti del Quirinale come una garanzia di durata e di stabilità. Dunque è come se si volesse trascinare Berlusconi e questo suo enorme garbuglio politico-giudiziario ancora per un po’, senza scioglierlo, fino all’ultimo istante utile alla logica delle larghe intese. D’altra parte tra i grand commis de l’état, tra “i saggi” del Quirinale, tra gli amici di Giuliano Amato, nel mondo dei costituzionalisti che mantengono rapporti trasversali, c’è chi fa sua la teoria del bastone e della carota.

C’è chi pensa che “non bisogna risolvere del tutto i problemi di Berlusconi”, ma è necessario lasciarlo sospeso il più a lungo possibile, per dare il tempo a Letta di finire la prima fase delle riforme. Chissà. Solo così si lega stretto il Cavaliere alla fragile architettura della grande coalizione. Ma questa ipotesi, che i berlusconiani chiamano “della cottura lenta”, è molto temuta a Palazzo Grazioli dove non si aspettano niente di buono: “Non vorrei che la legge valesse per tutti, tranne che per il Cavaliere”, dice Daniela Santanchè. Eppure, i poteri cosiddetti neutri sanno benissimo che il Cavaliere inquieto, che indossa ancora saldamente i panni dello statista compassato, sta ponendo una questione di sistema che riguarda la tenuta della grande coalizione con tutto quello che questo comporta. “Siamo alla resa dei conti finale, ma il problema non è più Berlusconi”, dice Formica. “Questa ordalia che qualcuno insegue immaginando un ribaltone, e teorizzando l’isolamento violento del centrodestra, scivolerà come acqua sul marmo? O piuttosto creerà un nuovo conflitto che, mischiato alla crisi economica, precipiterà l’Italia in altri quindici anni di instabilità?”.

Così anche tra i “saggi” che lavorano alle riforme con molta prudenza si dice che l’indulto e l’amnistia non sono poi ipotesi così fantasiose e bislacche. “L’amnistia serve a tutti i cittadini”, dice il professor Giuseppe Di Federico, membro della commissione di esperti nominati dal governo, i saggi, vecchio garantista molto critico nei confronti del sistema giudiziario italiano. La complicazione è però tutta nelle garanzie che al Cavaliere vengono accennate dai ministri che ha prestato al governo, da Quagliariello e da Alfano, ma anche da Gianni Letta. Loro non gli portano che sfumature, umori presidenziali, un vago e indefinibile sapore di pace, mentre lui, che è uomo pratico e anche un po’ spiccio, sebbene costruttore meticoloso dell’alleanza destra-sinistra, vorrebbe mordere subito la carne della questione.

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo – F.Q.