Magistratura improduttiva

Categoria: Firme

Giudici d’assalto all’estero (con Saipem) e in Italia (con l’Ilva)

La vorticosa caduta in Borsa del titolo di Saipem che in un anno ha perso il 51 per cento, con danno anche per la capogruppo Eni, il cui titolo ha di conseguenza perso di più di quel dovrebbe essere considerando il peso limitato di Saipem sul suo bilancio, non dipende da cattiverie degli gnomi della speculazione ma dal fatto che Sonatrach, la compagnia statale del gas dell’Algeria non le ha rinnovato le commesse. Da un utile di 1,5 miliardi è passata, così, in poco tempo a una previsione di zero. La causa sta nel procedimento dalla magistratura di Milano, a carico di amministratori della società, per una presunta corruzione dei vertici di Sonatrach. I fatti, peraltro, posto che siano avvenuti, sarebbero tutti fuori dal territorio italiano e quindi la competenza dei nostri tribunali sarebbe molto discutibile. In effetti sul caso si è mossa adesso anche la giustizia algerina, che ne ha rivendicato la competenza, e ha ampliato le indagini mettendo sotto accusa i vertici della Sonatrach per vari illeciti. E’ comprensibile che la nuova gestione cerchi di cancellare i rapporti con Saipem, sebbene le due società abbiano alle spalle una lunga tradizione di collaborazione, e ciò costituisce un grosso danno per ambo le parti.

Mentre in Italia con l’Ilva la magistratura è andata oltre il proprio mandato, mettendo in difficoltà, con il sequestro cautelare discrezionale del patrimonio dei proprietari, la famiglia Riva: il processo di risanamento dello stabilimento di Taranto, prima ancora di cominciare è stato ostacolato impedendo per il momento il rilancio dell’impresa sul mercato internazionale. Nel caso di Saipem essa ha addirittura sconfinato dalla propria giurisdizione, con un processo penale a carico di soggetti esteri, per illeciti commessi all’estero, con un danno per Saipem di circa 1,5 miliardi (per coincidenza la cifra che dovrebbe dare l’aumento dell’Iva nel secondo semestre). Per Eni il danno stimato è minore, perché ha una quota di Saipem del 43 per cento. E per il contribuente la quota si diluisce perché il Tesoro in Eni ha il 4 per cento mentre la Cassa depositi e prestiti, che è partecipata anche da banche private, ne ha un altro 25. Quel che resta è il danno per l’economia italiana in entrambi i casi. E non certo per un’azione penale obbligatoria per cui si debba dire “dura lex sed lex” ma per un’invasione di campo qui e all’estero dei giudici.

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