I sopravvissuti di Mani pulite

Categoria: Firme

La classe politica italiana è ancora in grado di prendersi le

proprie responsabilità nel governo di questo sventurato paese?

E’ ancora in grado di dire, almeno una volta all’anno, almeno una volta al lustro, “si fa così!”, senza continuare a rimandare tutto sine die? La domanda è retorica, e la risposta – ahinoi – è no. Se così non fosse, d’altra parte, se fosse dotato di lungimiranza, coraggio, capacità di leadership, il Palazzo trarrebbe le conseguenze logicamente necessarie dei risultati elettorali di febbraio, della rielezione di Napolitano, della nascita del governo Letta. E si inventerebbe una soluzione politica forte e definitiva alle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, facendosene con altrettanta forza carico di fronte al paese.

L’anomalia berlusconiana (innegabile) è derivata, non primaria – conseguenza, non causa. Emerge in primo luogo in un paese privo da sempre di un robusto baricentro politico e istituzionale, e tragicamente condannato a oscillare perciò fra l’immoralità antipolitica e anti istituzionale e il moralismo antipolitico e anti istituzionale. Più immediatamente, poi, proviene dai primi anni Novanta: dall’evento straordinario di una crisi politica di prima grandezza esplosa per via giudiziaria. L’élite post Tangentopoli avrebbe dovuto fare i conti seriamente con quella vicenda, consegnandola alla storia e riportando al politico quel che era della politica, al giudiziario quel che era dei giudici. Si è invece rinchiusa per vent’anni nella guerra civile fredda fra gli antiberlusconiani, ossia i sopravvissuti a Mani pulite, e i berlusconiani, ossia gli eredi di quelli ch’erano stati travolti da Mani pulite. Guerra civile fredda che non ha risolto un bel nulla – ma che è meravigliosamente riuscita a soffocare il paese.

Il governo Letta, in questo quadro, può assumere due significati assai diversi. Può rappresentare un momento di sospensione della guerra civile, nell’attesa degli eventi (soprattutto giudiziari). O può cercare di chiuderla definitivamente. La prima via, non lo nego, è a suo modo una soluzione. Chi la persegue dev’essere consapevole però delle conseguenze negative che essa si trascina dietro: confermerebbe la subordinazione della politica al potere giudiziario; soprattutto, accrescerebbe ulteriormente l’irritazione e l’alienazione di una consistente parte del paese, confermandola nella convinzione che la vita pubblica italiana sia faziosa e iniqua, e respingendola nella protesta. La seconda via potrebbe invece chiudere per sempre la guerra civile fredda non solo degli ultimi vent’anni, ma degli ultimi centocinquanta: un punto di svolta nella vicenda secolare dell’anomalia italiana – della quale la “divisività” (il termine è di Luciano Cafagna) è parte non piccola. In quest’ultimo caso, però, riportare Napolitano al Quirinale e mandare Letta a Palazzo Chigi, tentare una riforma costituzionale ed elettorale condivisa, emanare decreti del fare e del disfare – tutte queste restano mosse largamente destituite di senso storico e politico, se al contempo non si trova una soluzione politica all’antiberlusconismo giudiziario.

Gli elettori di sinistra non capirebbero? In larga misura capirebbero, eccome. Chi riuscirà a regalare all’Italia la fine della guerra civile fredda governerà il paese per i prossimi vent’anni.

di Giovanni Orsina, il F.Q., 25/6