Il Tesoro nega i trucchi sui derivati e difende

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 i nostri tecno-banchieri

Lo scoop di Ft e Rep. su presunti magheggi di Prodi, Draghi&co. per entrare nell’euro incombe sul vertice Ue di oggi

Il disvelamento di rischi per i conti pubblici italiani e la scoperta di trucchi compiuti dal nostro paese per entrare nell’euro: il tutto sarebbe contenuto in un unico scoop uscito ieri in contemporanea su Financial Times e Repubblica. Il condizionale è d’obbligo, per ora, stante la duplice smentita arrivata ieri dal ministero dell’Economia e dalla Commissione Ue. Intanto, però, ecco la notizia rilanciata in prima pagina dai due quotidiani: secondo Rep., ci sarebbero “8 miliardi a rischio” al Tesoro, frutto di “una perdita potenziale” pari al “25 per cento degli strumenti di copertura di tassi e di cambio del debito ristrutturati dal ministero dell’Economia nel 2012”. Il governo Monti si sarebbe visto costretto a rinegoziare contratti derivati stipulati alla fine degli anni 90 per gestire meglio il debito pubblico. Dalla relazione del Tesoro, e soprattutto dal lavoro di “tecnici indipendenti” che per i due quotidiani hanno analizzato i numeri, emergono perdite per 8,1 miliardi per lo stato italiano (secondo i parametri “mark-to-market”, cioè ipotizzando che le banche coinvolte decidano di “chiudere” le loro posizioni oggi). Perciò la Corte dei conti si sarebbe allarmata, al punto da inviare nell’aprile scorso la Guardia di Finanza in Via Venti Settembre per chiedere gli originali dei contratti stipulati, scontrandosi con un rifiuto del Tesoro.

Il Financial Times, invece, più dell’allarme sulle finanze pubbliche, ha sottolineato nella titolazione il possibile “window-dressing” sui conti praticato in Italia alla fine degli anni 90. Cioè il tentativo di far apparire gli stessi conti migliori di come in realtà fossero, grazie a contratti derivati, per riuscire a rispettare i parametri di Maastricht prima del gennaio 1999 e dell’introduzione dell’euro. Un’operazione che sicuramente avrebbe coinvolto Draghi, dal 1991 al 2001 direttore generale del Tesoro, scrive il Ft. (E dunque i premier Romano Prodi, 1996-1998, e Massimo D’Alema, 1998-1999, e il ministro del Tesoro di allora, Carlo Azeglio Ciampi, tutte personalità il cui tasso di europeismo è universalmente riconosciuto). Ma il Ft punta all’attuale presidente della Bce, per il quale sorgerebbero “domande scomode”.

Il ministero dell’Economia, però, ieri ha smentito la lettura che Rep. e Ft hanno offerto della relazione del Tesoro (transitata anche per le mani di un banchiere milanese). Innanzitutto l’attenzione della Corte dei conti, via Guardia di Finanza, riguarda soltanto “un gruppo” di operazioni con Morgan Stanley; attenzione cui il Tesoro ha corrisposto “fornendo tutta la documentazione richiesta”. Le perdite potenziali di 8 miliardi su contratti che si riferiscono a un’attività finanziaria del valore (nozionale) di 31 miliardi, poi, sarebbero un dato parziale e potenzialmente fuorviante rispetto a un nozionale complessivo di 160 miliardi per tutti i derivati stipulati. L’uso dei derivati, ha ribadito poi il Tesoro – in questo concorde con tutti gli analisti sentiti dal Foglio –, è pratica comune per “l’allungamento della duration complessiva del debito, al fine di proteggere da un eventuale rialzo dei tassi”.  Infine, secondo Mario Seminerio, analista e blogger finanziario, anche il parallelo adombrato dal Ft con la Grecia, che grazie a un derivato con Goldman Sachs abbassò “artificialmente” il suo deficit per entrare nell’euro, potrebbe essere scorretto: “Il comunicato del Mef indica chiaramente che il Tesoro ha deciso di proteggersi da choc al rialzo dei tassi di interesse, e quindi è entrato in operazioni di interest rate swap come pagatore a tasso fisso e ricevitore a tasso variabile. Quest’ultimo, l’Euribor, dalla stipula di quei contratti non ha fatto che diminuire. Da qui la perdita sulla cosiddetta ‘gamba variabile’ dello swap”. Insomma “nulla che indichi che gli swap sono stati negoziati a condizioni fuori mercato”. A meno che i termini dei contratti in mano a Ft e Rep. “non provino il contrario”. La procura di Roma ha aperto un’indagine. Quel che è certo, a oggi, è che l’improvviso parallelo con la Grecia non favorirà Draghi, né Enrico Letta al vertice Ue di oggi.

 di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp