Francesca Borri: “Vi rispondo così”

Categoria: Firme

Le polemiche per l’articolo della reporter di guerra freelance

ANNA MASERA anna masera su g+, La Stampa, 25/7

“A volte il silenzio è più fragile, ma anche più dignitoso” mi ha risposto Francesca Borri dopo le polemiche per questo articolo uscito sulla Columbia Journalism Review e tradotto qui su Voci Globali per La Stampa  (al riguardo  sta per uscire anche un suo intervento sul Guardian che rilanceremo qui in italiano).  E ha aggiunto: “Speriamo domani non ricomincino a discutere di ginocchio e mascara...il mio bilancio siriano oggi è un amico rapito, tre amici morti”. 

 Intanto ecco quello che ha accettato di lasciarci pubblicare della lunga conversazione che abbiamo avuto via email, come replica a tutti quelli che hanno avuto da ridire. 

 1) Sui dubbi per il ginocchio ferito. Il portavoce dei ribelli a Sheik Maqsoud, il quartiere curdo di Aleppo in cui è stata ferita Francesca Borri, ha inviato alla Columbia Journalism Review questa testimonianza: 

 “Cara Columbia Journalism Review, 

Mi chiamo Joseph Mardellie e sono di Aleppo, Siria. 

Faccio parte del movimento di resistenza contro Bashar al-Assad. Non sono un combattente, mi occupo dell’ufficio stampa. Ma la mia lotta è dura come quella di chi combatte al fronte. Ci sono stati più di 100.000 morti e il mondo sta ancora lì a guardare. 

Ecco perché sono rimasto completamente scioccato da certi attacchi online contro Francesca Borri dopo la pubblicazione del suo articolo sul sito della Columbia Journalism Review. 

Si, mi trovavo con Francesca Borri e Stanley Greene quando lei fu ferita da un proiettile vagante al ginocchio il 4 aprile 2013, sulla linea del fronte nel quartiere di Sheik Maqsoud ad Aleppo. E ovviamente c’era chi sparava. Al fronte non si è mai soli. 

Francesca è stata curata in un ospedale da campo (di cui preferiamo non divulgare i riferimenti, ndr). Nei loro archivi, c’è una cartellina con il suo nome. 

Non riesco a credere che i pochi giornalisti che hanno ancora il coraggio di venire in Siria debbano subire simili attacchi mediatici. Mentre scrivo queste righe, la mia amata Aleppo è sotto bombardamento aereo. La gente è affamata e disperata. A ogni angolo spuntano i cecchini. Mentre il mondo rimane in silenzio, noi moriamo. 

Qui si muore. Lo capite?  Vi prego, scrivete della Siria sui vostri giornali, parlatene ovunque. 

Stiamo morendo. Vi è chiaro?

Cordialmente, JM “

 2) Sulla Bosnia: “Ma certo che la guerra era finita, era il 2003: e infatti fu una sparatoria - neppure in Kosovo ho visto la guerra, i bombardamenti sono stati che avevo 19 anni: eppure il mio libro sul Kosovo è esattamente sulla perdita di innocenza e giovinezza”.

 3) Sui 70 dollari a pezzo: “Mi è stato contestato che sono 70 euro, ma confermo che pago le tasse, e quindi sono più o meno 50 euro”. 

 4) Sull’essere stata o meno la prima e unica ad entrare ad Aleppo: “E’ vero che la frase si presta a fraintendimenti. Si riferisce alla città vecchia (old city, ho scritto, non Aleppo) ed è citato Stanley Greene, perché parlo del nostro reportage pubblicato in Francia a maggio. La città vecchia è bruciata a ottobre 2012: da allora, i ribelli non hanno consentito a nessuno di entrare, perché era tutto in macerie e non volevano essere accusati di avere combattuto in un sito dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Stanley e io siamo entrati a marzo 2013: primi e ultimi. Dal momento che la città vecchia è stata inaccessibile da ottobre, per noi giornalisti, ho scritto di istinto “i primi ad entrare”. Intendevo i primi dopo l’incendio: e d’altra parte, Stanley è arrivato in Siria a gennaio 2013, ed è citato nella frase: non volevo certo spacciarmi per la prima giornalista ad Aleppo - comunque, è vero che lì la frase è scritta male. Semplicemente, la città vecchia è diventata una notizia dopo l’incendio. Ma Dio mio, se solo i giornalisti dedicassero tanta attenzione anche al resto dell’Italia...” .