La Consulta della conservazione

Categoria: Firme

Le sentenze che incartano il paese nella Carta “più bella del mondo”

Le  più recenti sentenze della Corte costituzionale lasciano francamente perplessi, e non hanno mancato di suscitare critiche, per la loro spiccata caratteristica restauratrice e anti riformista. Siccome  questa volta la Consulta ha cassato leggi emanate dal governo di Mario Monti o, addirittura, un articolo cardinale dello Statuto dei lavoratori, le sentenze non hanno goduto del consueto coro di consenso nemmeno dai volenterosi cantori (antiberlusconiani) della “Carta più bella del mondo”. La riforma e il riordino delle province, previste dal decreto montiano Salva-Italia, sono state cassate con l’argomento, un po’ pretestuoso, che l’apposito decreto mancava dei requisiti di necessità e urgenza, nonostante fosse stato emanato per corrispondere alla richiesta di interventi urgenti di riduzione della spesa proveniente dalle autorità europee. Ora la norma che sanzionava gli amministratori regionali che non rispettano i vincoli di bilancio è stata cassata con un altro cavillo, che nasce dal rifiuto di accettare una ragionevole linea di dipendenza gerarchica delle istituzioni, che una sciagurata riforma del centrosinistra mette invece tutte sullo stesso piano. In passato, norme che ponevano un tetto alle pensioni dei dipendenti pubblici sono state cassate con argomenti abbastanza speciosi. Il tutto pare definire una linea di conservazione e di sostanziale difesa di privilegi considerati “diritti acquisiti” e garantiti dalla Costituzione “più bella del mondo”.

In realtà è proprio il carattere generico e retorico di tanti articoli della Carta a consentire interpretazioni di ogni tipo, tra le quali prevalgono da tempo, nella Consulta, quelle che sembrano più adatte a mantenere lo status quo e a prevenire possibili “smottamenti” giurisprudenziali verso riforme di sostanza nel nostro paese. L’esempio più evidente viene dalla questione della rappresentanza sindacale, che la Costituzione lega a una legge di riconoscimento delle sigle che non è mai stata emanata, il che rende estranea alla Costituzione tutta la struttura della rappresentanza, che aveva quindi la sua base nel riconoscimento reciproco tra le parti contraenti. Per fare un favore ai super conservatori della Fiom, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo dello Statuto che riconosce il carattere pattizio della rappresentanza, senza esigere che si applicasse la procedura di riconoscimento, il che lascia il diritto di rappresentanza sindacale, ma senza il corrispondente dovere. Se la Consulta non cambierà atteggiamento mentale non si potrà riformare nulla attraverso le leggi ordinarie, che presenteranno sempre qualche fianco scoperto a una volontà conservatrice cavillosa. Forse però non tutto il male viene per nuocere, se questo blocco delle riforme convincerà tutti del fatto che la vera cosa da riformare è la Costituzione: rendendola, se non la più bella del mondo, almeno univoca e moderna.

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