2- Armiamoci e poi vediamo

Il clan Putin non difende il clan Assad dagli strike americani,

basta che non ci siano i “boots on the ground”

Come in Kosovo nel 1999, Mosca non minaccia un intervento militare a favore del proprio protetto a Damasco. Equivale a un via libera (ma c’è un prezzo da pagare)

Gli alti diplomatici americani e russi avrebbero dovuto incontrarsi oggi all’Aia per discutere di pace in Siria. Ma da lunedì, da quando il segretario di stato John Kerry ha detto che l’attacco chimico dell’esercito siriano nei sobborghi di Damasco è “innegabile e inaccettabile”, la Siria è sempre più vicina alla guerra (non quella civile e terribile che c’è già, ma quella portata dagli aerei americani), e l’incontro dell’Aia è saltato (così come il bilaterale al G20 di San Pietroburgo, questa volta per l’affaire Snowden), rimandato a data da destinarsi. Dall’inizio della guerra civile siriana la Russia di Putin non è stata solo il più stretto (e interessato) alleato di Bashar el Assad. Negli ultimi anni la Russia è sempre stata il principale deterrente diplomatico contro un qualsiasi tipo di intervento occidentale. Se l’America avesse provato a toccare Assad, la ritorsione di Putin sarebbe stata terribile. Ma quando ormai a un attacco americano in Siria sembra mancare soltanto una data, la reazione di Mosca si è fatta inaspettatamente tiepida. Un attacco dell’occidente, ha detto ieri un portavoce del ministero degli Esteri russo, sarebbe “carico di nuove sofferenze per la Siria e di conseguenze catastrofiche per il medio oriente e il nord Africa”.

Mosca ha insistito sullo sbaglio di una guerra “priva di fondamento” compiuta senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove la Russia (insieme alla Cina) ha diritto di veto e ha sempre bloccato qualsiasi tentativo di sanzionare, anche moralmente, il regime Assad. Ci sono state anche dichiarazioni più dure, come quella del vicepremier Dmitri Rogozin, celebre per le sue sparate ultranazionaliste (“L’occidente si comporta nel mondo islamico come una scimmia con una granata”, ha scritto ieri su Twitter), ma finora è mancato l’avvertimento tombale di una reazione dura davanti alla possibilità di un attacco. Mosca si è limitata alle dichiarazioni di circostanza, non ha tracciato la sua linea rossa. E questo, nel linguaggio diplomatico del Cremlino, significa il via libera per gli strike americani.

Tre motivi per questa decisione. Lo scandalo internazionale per le foto strazianti delle vittime civili dei presunti (e quasi certi) attacchi chimici è troppo grande perché la Russia possa continuare a sostenere che è stata una montatura dei ribelli. In secondo luogo Mosca sa che è anzitutto interesse americano che l’attacco sia il più circoscritto possibile. Niente “boots on the ground”, nessun marine a Damasco, e strike aerei limitati alle zone strategiche.

Infine, Putin sembra aver compreso che per quanto il regime di Assad sia una pedina fondamentale per i propri interessi mediterranei e mediorientali, questo non è sufficiente per andare allo scontro diretto – già nella guerra in Kosovo del 1999, la Russia evitò lo scontro e non intervenì in favore dell’alleato serbo. Ma consentire che l’occidente “punisca” (è questa l’espressione usata ieri da Hollande) il clan Assad è altra cosa che dismettere i propri interessi in Siria. Incontri come quello di fine luglio tra Putin e il principe saudita, capo dell’intelligence, Bandar bin Sultan mostrano come i fronti di discussione siano fluidi. Secondo Nikolas Gvosdev sul National Interest, inoltre, la Russia farà in modo che l’intervento in Siria non sia una replica di quello in Libia, dove una no-fly zone “umanitaria” si è trasformata in un’operazione di regime change. Le possibili ritorsioni passano dal boicottaggio all’Onu, al divieto di passaggio sul suolo russo dei mezzi Nato diretti in Afghanistan, all’interruzione di accordi economici, a una stretta dei rapporti con Iran e Cina in chiave antiamericana (i tre presidenti si incontreranno il mese prossimo in Kirghizistan). C’è poi la possibilità che un intervento in Siria impantani l’America in un terzo conflitto mediorientale incancrenito e apparentemente insolvibile, distolga Obama dalla sua strategia di “pivot” asiatico, lasci spazio alla Russia nel Pacifico. Per Putin  F.Q. 28/8

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