Consigli non richiesti (da Londra) per la spending review

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Per anni i governi italiani hanno provato a tagliare la spesa pubblica

a modo loro, senza imitare gli esperimenti di altri paesi europei rivelatisi più efficaci. I risultati per l’Italia non sono stati soddisfacenti. Eppure l’approccio fai-da-te non sembra cambiato. I funzionari del ministero dell’Economia stanno lavorando da almeno due settimane alla spending review al fine di collezionare fino a 5 miliardi di risorse, in tre modi: razionalizzazione della spesa degli enti locali, riordino dei contributi fiscali e taglio degli incentivi alle imprese (sono 2,5 i miliardi spesi quest’anno per piccole e grandi aziende; ergo: i consigli dell’economista Francesco Giavazzi – elencati nel c.d. “piano Giavazzi” – sono rimasti sulla carta). Sfrondare i rami secchi dell’indebitato apparato statale pare una fatica di Sisifo che nessun governo è riuscito a compiere. Per il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, è essenziale riuscirci prima della legge di stabilità che verrà discussa a ottobre, rispettando i vincoli del pareggio di bilancio. Secondo il Corriere della Sera, serviranno almeno 14 miliardi per coprire, oltre ai costi della macchina pubblica, alcuni recenti provvedimenti. Innanzitutto il mancato gettito dovuto all’abolizione dell’Imu, perno del recente accordo politico tra Pd e Pdl, considerato vitale per l’esecutivo. Occorrono poi fondi per scongiurare l’aumento dell’Iva, il prossimo argomento di confronto politico, soprattutto all’interno del Pd dopo che ieri il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha contraddetto il viceministro dell’Economia e suo compagno di partito, Stefano Fassina, ribadendo l’urgenza di evitare il ritocco all’insù dell’imposta. Infine serve garantire il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e i fondi per gli esodati, due misure già decise per decreto. Trovare risparmi di spesa, dunque, è una via obbligata. E a vigilare sulla spending review penserà un commissario da nominare entro settembre che, date le incombenze, sembra destinato a lavorare in un clima emergenziale.

Diversamente, in altri paesi con più dimestichezza in tema di spending, i tagli sono diventati sistematici. Come nel Regno Unito. “L’Italia non ha adottato procedure di spending analoghe a quelle adottate in altri paesi”, ha ammesso il ministro per i Rapporti con il Parlamento, l’economista Piero Giarda, incaricato di tagliare la spesa durante il governo Monti, in occasione di una conferenza presso l’ambasciata inglese a Roma il 18 ottobre 2012. All’epoca Giarda aveva anche consigliato ai suoi successori di fare tesoro dell’esperienza britannica. Esperienza che lui e altri tecnici saggiarono cinque mesi prima quando volarono a Londra per studiare il modus operandi degli inglesi (ideatori del termine e della pratica “spending review” nel 1998). Il governo di Londra ha coordinato i ministeri di Difesa, Trasporti, Interni, Giustizia e Lavoro, più altri enti pubblici, con l’obiettivo di risparmiare su beni, servizi, consulenze e personale amministrativo circa 80 miliardi di sterline (93 in euro) in quattro anni. Per mezzo della tecnologia di una società italiana che si occupa di razionalizzazione dei costi nella Pubblica amministrazione, la BravoSolution, assunta dal governo di David Cameron con bando pubblico, i risparmi sono stati programmati nel tempo. “Con le nostre tecnologie possiamo aggregare dati disomogenei, ad esempio provenienti da ministeri diversi, analizzarli e capire dove sia possibile tagliare gli sprechi, e così fissare degli obiettivi per poi reiterare questi interventi anno dopo anno senza quei tagli lineari visti, ad esempio, in Italia”, dice al Foglio il direttore generale Ezio Melzi che lavora anche per i governi di Messico, Olanda ed Emirati Arabi.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Alberto Brambilla   –   @Al_Brambilla