Britannia ruled the World

Categoria: Firme

La disfatta di Cameron sulla Siria spegne la luce sull’impero

Nel suo discorso marziale di ieri, il segretario di stato americano John Kerry non ha mai citato la Gran Bretagna. In un elenco che comprendeva Lega araba, Turchia, Australia e una Francia definita “il nostro più vecchio alleato”, non c’è stato spazio per il partner della “special relationship” che giovedì notte, con un voto alla Camera dei Comuni, si è autoescluso dalla coalizione dei paesi pronti a un intervento in Siria. Concedendo il voto, David Cameron ha mantenuto nei fatti una promessa del 2010, quando annunciò che il governo avrebbe rinunciato all’antichissima “prerogativa regale” sulle dichiarazioni di guerra. Il risultato è stato la prima sconfitta del governo in un voto sulla guerra dal 1782, quando il Parlamento concesse l’indipendenza alle colonie americane.

Secondo molti commentatori, la sconfitta nei numeri è stata provocata da un atteggiamento “overconfident”. Cameron si è presentato ai Comuni con una mozione annacquata, che rendeva obbligatoria una seconda approvazione del legislativo prima dell’attacco. Sicuro di vincere, il premier ha fatto un discorso tosto, ma non è riuscito a convincere sulle armi chimiche di Assad. Erano sicuri anche molti parlamentari: 93 non si sono iscritti alla votazione (decisa da 13 voti) e molti hanno deciso di dare un voto “pacifista” per poi rimettere a posto le cose in una seconda votazione mai avvenuta.

La sconfitta nelle idee, però, ha altre cause. La più immediata sono le convenienze misere dei laburisti di Ed Miliband, che dopo aver lasciato intendere che avrebbe sostenuto il governo ha deciso di negare il suo appoggio (Cameron si è arrabbiato tantissimo, secondo indiscrezioni ha detto a Miliband che “stava con la Russia” e in privato gli avrebbe lanciato epiteti irripetibili). In grave difficoltà in tutti i sondaggi, oggi Miliband si gode gli applausi di quei due terzi della popolazione contraria a un intervento. Poi c’è l’Iraq, evocato più volte giovedì, il grande trauma politico di un Parlamento che approvò una guerra sulla base di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. In un’intervista a poche ore dalla sconfitta, il segretario alla Difesa britannico Philip Hammond ha pronunciato per due volte il nome di Saddam Hussein al posto di quello di Bashar el Assad, e per un attimo Damasco è sembrata Baghdad. Ma l’Iraq non basta. C’è un cambiamento più profondo e una storia più grande di cui seguire il filo, quella di una politica estera inglese che ha continuato a illudersi di poter essere imperiale. Dopo il voto di giovedì questa illusione si è rotta. Lo dicono, con toni diversi, tutti i grandi media inglesi (Polly Toynbee sul Guardian arriva a chiedersi perché l’Inghilterra sia ancora membro permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu): la Gran Bretagna è venuta meno al suo ruolo, ha ceduto all’isolazionismo in un modo che non è superba esclusione dai problemi del mondo, ma ammissione di non essere più alla portata della magnitudo di questi problemi. Secondo Philip Stephens, la sconfitta di Cameron era inevitabile “storicamente”, è il punto finale di una decadenza iniziata nel 1956 con l’umiliazione di Suez. Giovedì l’impero, o quel che ne rimaneva, è finito e i suoi cittadini, stanchi di un peso che non potevano più sopportare, hanno applaudito.

di Eugenio Cau per FQ, 31/8