Il Lingotto (FIAT) va avanti da solo, la legge

Categoria: Firme

 sulla rappresentanza è inutile

Intervista a Il Mattino di Maurizio Sacconi, 5/9

“Una legge sulla rappresentanza non è utile”, afferma il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, che aggiunge: “Anche la conferma degli investimenti su Mirafiori dimostra che la Fiat non ha bisogno di una legge per continuare a produrre in Italia, se può contare su un solido accordo con la parte maggioritaria dei sindacati.”

Presidente, ieri il sottosegretario al Lavoro Dell’Aringa ha affermato che la sentenza della Corte costituzionale sull’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, che ha costretto la Fiat a riconoscere i rappresentanti aziendali della Fiom, ha determinato un’incertezza normativa che andrebbe affrontata, auspicabilmente con un accordo tra sindacati e imprese sulla rappresentanza aziendale, altrimenti con una legge: è d’accordo?

“Credo si stia delineando una larga condivisione tra le forze sociali, in primo luogo, e mi auguro anche tra le forze politiche della maggioranza, sulla non necessità di una legge sulla rappresentanza, ma anche sulla sua non utilità. La non necessità era, tra l’altro, già chiara perché quella della Corte costituzionale è una sentenza interpretativa, che non lascia quindi un vuoto normativo, ma che riconosce la piena libertà associativa nei luoghi di lavoro, anche ai sindacati che non abbiano sottoscritto il contratto di lavoro.”

La Fiat, però, ha chiesto una legge sulla rappresentanza, minacciando, altrimenti, lo stop degli investimenti in Italia.

“L’intesa odierna su Mirafiori tra la Fiat e i sindacati che avevano sottoscritto i precedenti accordi dimostra, invece, che c’è un metodo basato sul dialogo che procede al di là della legge. E’ un’intesa che va oltre Mirafiori, mi sembra che la Fiat abbia modificato la sua posizione. Si riconosce, infatti, la bontà degli accordi, quando questi vengono sostenuti dalle parti. E nessuna legge può sostituire la responsabilità dei corpi sociali nelle relazioni industriali. Se si irrigidissero queste dinamiche in schemi regolatori, ci si esporrebbe a facili contenziosi. Di volta, in volta, anche una minoranza esigua potrebbe appellarsi a un vizio formale per mettere in discussione quella condivisione tra imprese e lavoratori che, in un periodo di forte competizione sui mercati internazionali, è necessaria. Se, infatti, una volta era talora inevitabile il conflitto per distribuire la ricchezza prodotta, oggi c’è bisogno di condivisione innanzitutto per produrre la ricchezza, e poi per distribuirla.”

Non crede, quindi, che il concetto di “partecipazione alle trattative”, unico discrimine – dopo la sentenza della Consulta – tra chi può o non può nominare rappresentanti aziendali, sia troppo vago?

“No, questa espressione va letta con molta semplicità: la Corte costituzionale riconosce la libertà associativa, che significa libertà di organizzarsi, agibilità sindacale, possibilità di esporre comunicati nella bacheca in fabbrica. E bene ha fatto la Fiat a riconoscere i rappresentanti aziendali della Fiom. Poi la trattativa è libera. Le parti si devono riconoscere: nessuno deve essere discriminato, ma per fare un accordo bisogna essere in due. L’importante per l’azienda è condividere un accordo almeno con organizzazioni sindacali maggioritarie. Accordi recenti tra le parti sociali, inoltre, hanno definito criteri per misurare la rappresentatività, e anche stabilito che tutti devono riconoscere gli accordi sottoscritti dalla maggioranza di sindacati e lavoratori, anche se dissenzienti. Non vedo, quindi, ragioni per una legislazione che potrebbe portare solo instabilità e incertezza.”