Cipputi americani incalzano Marchionne

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Il potente sindacato di Chrysler vuole ritardare l’intesa con Fiat

Sergio Marchionne è un buon incassatore. Difficile che lo preoccupi l’ennesima uscita di Maurizio Landini che, il giorno dopo l’impegno di Fiat a investire un miliardo in Mirafiori, sostiene che “non siamo all’uscita dal tunnel, ma stiamo assistendo al tentativo di spegnere progressivamente la fabbrica” perché “non c’è alcun impegno scritto su cosa si farà e con quali tempi: il polo del lusso non può garantire l’occupazione attuale a Mirafiori”. Come se in Europa circolassero soluzioni più convincenti per garantire la continuità del settore in una congiuntura che rischia perfino di peggiorare, come dice l’agenzia di rating Moody’s. Ma il gancio che colpisce Marchionne l’ha ricevuto lo stesso, dagli amici (o ex amici?) della Uaw, la potente centrale sindacale dell’Auto americana, importante, se non decisiva, per la piena resurrezione di Chrysler. Bloomberg ha rivelato ieri che gli avvocati del sindacato, proprietario attraverso il fondo Veba del 41,5 per cento della casa di Detroit (Fiat ha il 58,5 per cento) hanno chiesto al giudice del tribunale del Delaware di fissare il processo per definire il prezzo dei titoli Chrysler solo nel gennaio 2015.

Questo per dare alle due parti, la stessa Uaw e Fiat (che vanta una prelazione sul 16,5 per cento a valori già fissati nell’aprile 2009) “un tempo ragionevole” per trovare un’intesa. Ergo, la soluzione della disputa si allontana dall’orizzonte 2014 cui guarda Marchionne. Fiat offre, per tutto il pacchetto in mano ai blue collar, solo 1,8 miliardi di dollari. Il sindacato non vuol scendere dai 4,2 miliardi. I duellanti hanno buoni motivi per fare in fretta: il fondo Veba deve far fronte alla sanità di dipendenti e pensionati Chrysler. Marchionne, alle prese con la frenata del Brasile, primo mercato di sbocco per Fiat, ha urgenza di accelerare le nozze Torino-Detroit soprattutto per poter contare sulla liquidità (12 miliardi) accumulata da Chrysler. Il messaggio di Uaw, uno dei sindacati più potenti del mondo (secondo il magazine Foreign Policy) e ben connesso con i poteri di Washington (è al settimo posto tra i grandi contribuenti dei Super Pac, i Political action committee) con questa mossa dicono all’amico Marchionne che il sindacato può attendere più di Fiat. Un bluff? Chissà. Per ora si capisce che i sindacati riformisti sanno essere, quando ne vale la pena, più duri dei Cipputi d’antan.  © - FOGLIO QUOTIDIANO, 6/9