Perché il Pd non crede al bluff del Cav.

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La carta delle dimissioni di Nap. e le nuove maggioranze

Un po’ per le questioni di convenienza politica. Un po’ per le questioni di convenienza aziendale. Un po’ per le questioni di convenienza personale. Un po’ per le questioni di convenienza giudiziaria. Un po’ per tutto questo si può dire che oggi all’interno del Partito democratico è difficile trovare qualcuno convinto che gli ultimatum del Pdl siano davvero qualcosa in più di un semplice e formidabile bluff. Ieri il volo minaccioso dei falchi del Popolo della libertà è stato osservato con attenzione durante la riunione della segreteria del Pd. E pur essendo incessanti a Largo del Nazzareno le voci che confermano un’intenzione reale del Cavaliere a togliere ossigeno a questo governo, alla fine nel Pd l’impressione è che il centrodestra non farà il passo più lungo della gamba per una ragione precisa che risponde al nome di Giorgio Napolitano. Il capo dello stato, si sa, considera un’opzione irricevibile quella di sciogliere le Camere dopo appena quattro mesi di governo e in più occasioni ha fatto capire che far saltare la grande coalizione significherebbe rompere il patto sottoscritto da Pd e Pdl per convincerlo ad accettare la rielezione alla presidenza della Repubblica. E le conseguenze della rottura di questo patto, come dice al Foglio un senatore del Pd con familiarità con gli ambienti quirinalizi (Giorgio Tonini), per il Pdl potrebbero essere pericolose. “Una delle ragioni che mi porta a credere che quella di Berlusconi sia una mano di poker priva delle carte giuste per far saltare il banco si trova in un passaggio del discorso d’insediamento di Napolitano dello scorso venticinque aprile, quello che in tanti fanno finta di dimenticare”.

Quale passaggio? Questo: “Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”. “In linea di principio – continua Tonini – ‘trarne le conseguenze’ significa che con una rottura del Pdl il presidente sarebbe messo di fronte a una chiara violazione del patto e potrebbe lasciare il Quirinale facendo scegliere a questo Parlamento il nuovo capo dello stato. E visto il ruolo d’equilibrio esercitato in questi anni da Napolitano dubito che Berlusconi voglia correre il rischio di ritrovarsi ai domiciliari con al Quirinale un presidente eletto non dal Pd e dal Pdl ma dal Pd e il Movimento cinque stelle”. Secondo Tonini, la danza di Berlusconi andrà avanti per qualche settimana (la data in cui scatteranno i domiciliari è fissata per il 15 ottobre) e anche nei prossimi giorni il Pdl continuerà a chiedere al Pd di opporsi alla decadenza del Cav. in Giunta. Il vicepresidente dei senatori Pd conferma che il Partito democratico non ha alcuna intenzione di “salvare” Berlusconi ma allo stesso tempo suggerisce di affrontare i prossimi giorni senza dare l’impressione di voler far ruzzolare teste per terra e senza dimenticarsi che al Cavaliere vanno concessi i diritti previsti dalla Costituzione. “Se in Giunta verranno chiesti giorni per approfondire il caso, il Pd non può dire di ‘no’ a priori, come se questo passaggio parlamentare fosse un atto notarile. Prendere tempo non significa necessariamente perdere tempo e su questo oggi nel mio partito non mi sembra davvero ci siano più grandi dubbi”.

Alle voci minacciose che arrivano dal Quirinale, e che promettono sfracelli nel caso in cui il Pdl volesse far saltare il banco, va aggiunta un’altra arma invisibile che in queste ore sta portando sempre più esponenti del Pd a concordare con la linea del “tanto non casca” offerta ieri da Renzi. Nel Pd tutti o quasi sono convinti che al Senato esista un’altra maggioranza che potrebbe sostituire l’attuale senza traumi eccessivi e anche ieri i sostenitori dell’ipotesi estrema del Letta bis mostravano fiducia di fronte al pallottoliere di Palazzo Madama. “La maggioranza – dice un senatore di Scelta civica – mettendo insieme i senatori a vita, i dieci Cinque stelle ribelli, il Gruppo misto e il voto tecnico che potrebbe dare Sel per non tornare a votare con questa legge elettorale, senza contare le decine di senatori che uscirebbero dal Pdl, esiste al cento per cento”. Questi elementi portano Palazzo Chigi a non credere troppo alle minacce di Berlusconi e a credere che alla fine le armi non convenzionali di cui dispongono Letta e Nap. permetteranno al governo di durare e costringeranno il Cav. a capire che avere un piede nel governo oggi è il migliore dei mondi possibile. Anche perché, dice al Foglio il deputato Pd Marco Meloni, consigliere del presidente del Consiglio, se il Cav. dovesse farsi guidare più dall’umoralità che dalla razionalità Letta non rimarrebbe a guardare. “Se il Pdl aprisse la crisi – dice Meloni – si assumerebbe una responsabilità enorme di fronte al paese e all’Europa. Non credo accadrà ma in tal caso sarebbe giusto che Letta affronti in modo trasparente la questione di fronte al Parlamento. La stabilità è vitale per l’Italia e occorre far di tutto per garantirla”. Le carte sul tavolo dunque sono queste. E le carte dicono a Berlusconi che Napolitano e Letta davvero hanno intenzione di giocare la loro partita con tutti i mezzi a disposizione.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa