Ecco i piani anti-Assad del Pentagono

Categoria: Firme

Damasco, hotel diventano rifugio per gli sfollati

Pioggia di missili sulle forze aeree  e sulle unità di attacco chimico per “degradare” la capacità del regime

di far fronte ai ribelli addestrati dalla Cia. I gruppi jihadisti considerati “non così efficienti come si crede”

MAURIZIO MOLINARI INVIATO A SAN PIETROBURGO, La Stampa 6/9

Gli Stati Uniti usano più potenza di fuoco e Bashar Assad non risponde all’attacco ma a prendere l’iniziativa sono i ribelli, infliggendo al regime una spallata capace di trasformarsi nella svolta della guerra civile: è lo scenario dell’intervento a cui Washington lavora, secondo analisi e ricostruzioni di componenti della delegazione al seguito di Barack Obama.

 I tempi dell’attacco 

«Il Senato voterà a partire da lunedì 9 settembre» prevede un diplomatico, lasciando intendere che «la Camera si esprimerà la settimana seguente». Ciò comporta che «possono passare circa due settimane» prima che Obama dia al Pentagono l’ordine dell’attacco. Sempre a patto che i due rami del Congresso riescano a convergere su un identico testo.

 La coalizione 

L’alleanza che Obama si propone di guidare è assai diversa da quelle che finora hanno accompagnato gli interventi Usa dalla fine della Guerra Fredda. Il motivo è che «questa volta non abbiamo bisogno di aiuto militare» trattandosi di un’operazione limitata mentre ciò che serve è il «sostegno politico» spiega un consigliere. A tale riguardo «importante è il sostegno che daranno i Paesi arabi» a cominciare da Arabia Saudita, Qatar ed Emirati a cui si aggiunge la Turchia - già apertamente favorevole - perché disegnano un consenso regionale alla «punizione di Assad per l’uso dei gas». Sul fronte europeo la partecipazione della Francia si unisce «alle dichiarazioni di Paesi come la Svezia che esprimono la necessità di dare una risposta all’uso dei gas se l’Onu non lo farà» e «alla Germania che condivide le prove a carico di Assad». È una cornice minima ma a Obama sembra bastare «anche perché dopo la bocciatura di David Cameron in Parlamento» la defezione di Londra rende più difficile ulteriori adesioni.

 L’attacco 

Quando Obama darà luce verde al Pentagono l’intervento sarà contro «obiettivi» selezionati per «degradare l’efficacia delle forze siriane, chimiche e convenzionali» e ciò a prescindere dallo spostamento di truppe e mezzi da parte del regime. La distruzione di antiaeree, piste, centri di comando e controllo, aerei ed elicotteri priverà Assad «almeno del controllo dei cieli che finora è stato un vantaggio sui ribelli».

 Più potenza di fuoco 

Il Pentagono si prepara a usare più potenza di fuoco. Il motivo è la necessità di colpire «più obiettivi», affermano fonti militari al «Wall Street Journal», ovvero anche quelli «nuovi» creati dal regime spostando truppe e armamenti. Oltre ai missili Tomahawk saranno impiegati i bombardieri: i B52 in grado di lanciare cruise, i B1 di base in Qatar e i B2 posizionati in Missouri. Saranno tali aerei, in grado di colpire da grande distanza, a occuparsi di una «seconda ondata» di attacchi dopo quella iniziale dei missili partiti dalle navi.

 Assad non reagisce 

Nell’amministrazione è diffusa la convinzione che Assad «non reagirà all’attacco» proprio come è avvenuto in occasione degli almeno quattro blitz israeliani subiti nell’arco dell’ultimo anno. «È verosimile che Assad avrà un comportamento simile, scegliendo di non sfidare gli Stati Uniti per non andare incontro a ripercussioni più pesanti» assicura un consigliere.

 Le navi russe osservano 

Il team del presidente valuta in «almeno 20 o forse più» le navi da guerra di Mosca davanti alle coste siriane ma nessuno pensa che interverranno, neanche passivamente, per ostacolare l’intervento. «Sono lì per osservare ciò che accadrà» afferma una diplomatico, lasciando intendere che si tratta di un’operazione di spionaggio che «non avrà conseguenze».

 L’offensiva dei ribelli. 

Il tassello più importante dello scenario americano sono i ribelli perché Washington ritiene che «dopo i duri colpi inferti al regime» saranno le loro unità a prendere l’iniziativa, esercitando una massiccia pressione contro un regime in affanno. Stiamo parlando delle unità dei ribelli non-jihadiste, addestrate in Turchia e Giordania da istruttori americani, francesi e britannici grazie ad armi fornite da Paesi del Golfo ed ora in arrivo dagli Usa. Alcune di queste unità potrebbero assumere il controllo di singole aree, ai confini con Giordania e Turchia, e le forze jihadiste di Jubat al-Nusra vengono considerate «non così efficienti come alcuni reputano». A dimostrarlo sarebbe il fatto che «ogni volta che si sono trovate davanti i pashmerga curdi hanno battuto in ritirata».

 La soluzione politica 

È in una Siria con Assad indebolito e i ribelli rafforzati, che l’amministrazione si propone, a intervento finito, di rilanciare i colloqui per la «transizione», contando sul fatto che il regime non avrà più la forza per opporsi.