In Siria ci si doveva immischiare per tempo.

Categoria: Firme

Ora occorre la forza. Le ragioni del si

Non c’è una divisione propriamente politica o ideologica sulla questione siriana. In America e in Europa conservatori e progressisti sono su fronti diversi, si intrecciano gli schieramenti in tendenze isolazioniste e interventiste, Obama rinvia tutto e si copre ma vuole lo strike, così Hollande, ma una folta truppa dei repubblicani del Congresso di Washington si allea con i liberal dissenzienti per il no, e così in Europa il presidente socialista francese è solo, e il colpo decisivo glielo ha dato il conservatore Cameron, a parte la posizione tutto sommato trascurabile e da sottocultura papalina della radicale Bonino e del ministro della Difesa che digiuna e fa dichiarazioni di un’ovvietà conformista riprovevole. L’appello all’Onu è come sempre la vetrina delle ipocrisie.

Si continua a non capire quale è il problema. Non è quello di una polizia internazionale che interviene perché è stata violata una regola, le armi chimiche. Lo sostiene Adriano Sofri, e con lui una folta pattuglia di umanitari diffusi in paesi europei e negli Stati Uniti, ma non mi sembra sensato. Un atto di ripristino della legalità deve avere il bollo delle Nazioni Unite o altro di simile, una sanzione appunto legale che non è sufficiente mettere in capo all’autorità del Pentagono, della Casa Bianca e dell’Eliseo. Qui si tratta di politica di sicurezza su scala mondiale, si tratta del ruolo dei grandi eserciti occidentali, dell’alleanza con i sauditi e altri arabi ostili ad Assad e al suo strategico mandante, l’espansionista e rivoluzionario paese sciita che si chiama Iran.

C’è chi dice: lasciamo che si sbranino fra loro, l’islam è fatto così e non possiamo farci niente. Ma il mondo non può vivere in sicurezza con una Umma islamica lasciata in balia di se stessa nei rapporti internazionali. Il mondo è interdipendente. Un paese che si incanaglisce, un regime che gasa chi lo attacca, uno scontro tribale proiettato con la violenza di centomila morti sulla scena mondiale, e anche un fronte di guerriglia inquinato da forti componenti islamiste di tipo politico o quaidista, tutto questo non può essere un problema che non riguarda l’occidente. Mi sembra atto di puro buonsenso o di senso comune pensarlo.

L’intervento si giustifica razionalmente e realisticamente alla luce dei fallimenti strategici dell’America e dell’Europa nel controllo della geopolitica mediorientale. Niente fanfare. Bush e i suoi agivano in nome della moral clarity e della freedom agenda, giusto o sbagliato avevano un’idea nella risposta, nella dura, tremenda replica all’attacco su New York e Washington dell’11 settembre del 2001. A Baghdad si è andati perché ci si voleva andare, c’era una logica. Qui zero idee, solo parole e retoriche ireniste, e alla fine il prodotto della mano tesa e del sostegno non impegnativo alle famose primavere arabe è la convulsione, dal Cairo a Damasco, in uno scenario prenucleare determinato da Teheran. Gli obiettivi siriani saranno colpiti perché non ci si è voluti immischiare. Posizione debole in partenza. E saranno colpiti con l’enfasi sull’intervento limitato, un handicap militare e strategico notevole. Invece ci si doveva immischiare per tempo. Magari con un negoziato rafforzato da deterrenza, dissuasione e capacità politica. Magari con Mosca e Pechino. Ma quando non si fa nulla di concreto, se non discorsi che spacciano sogni, alla fine ci si ritrova in un incubo. L’incubo della linea rossa contro le armi chimiche e delle sue conseguenze.

Chiedono le prove. Sbandierano le armi non convenzionali non trovate in Iraq. Continuano a sfruttare la vischiosa inclinazione a confondere politica e regole non politiche sulla scena dei rapporti di forza. E allora ci si incarognisce ancora di più. La pace o l’ordine come risultato della guerra per la sicurezza, e contro la destabilizzazione, non è un risultato giuridico, è un risultato politico. E richiede energia, temperamento, capacità di pensare con i tempi giusti il momento in cui il ricorso alla forza può generare il negoziato o è infine costretto a definire il campo della tua identità e quello dell’identità nemica. Altre soluzioni nella storia del mondo, a parte Monaco, non sono mai state trovate. G.F.

8 settembre 2013 - ore 12:30