Letta propone un piano per attrarre investimenti.

Ancora un po’ vago, e giustizia permettendo

Nel tentativo di ravvivare la scarsa attrattività dell’Italia per gli investitori stranieri e di smuovere la depressa economia interna, il governo sottoporrà a consultazione pubblica l’ambizioso piano “Destinazione Italia”, approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Il documento verrà presentato alla comunità finanziaria americana la settimana prossima e a quella dei paesi del Golfo ai primi di ottobre.

Il piano, nato dalla collaborazione dei ministeri dello Sviluppo economico degli Esteri, e voluto dal presidente del Consiglio Enrico Letta, contiene circa cinquanta norme e comprende provvedimenti eterogenei: dalla riduzione del cuneo fiscale al testo unico sul lavoro, fino all’intenzione di vendere asset pubblici sul mercato, anche attraverso la vendita in Borsa, e si propone di potenziare lo strumento delle emissioni obbligazionarie per le piccole e medie imprese, soffocate dalla carenza di credito bancario (i fallimenti nel 2013 hanno toccato il record storico, superando le 3.500 chiusure nei primi tre mesi dell’anno). Ancora non è chiaro come questa massa di provvedimenti dispiegherà i suoi effetti. I commentatori sono scettici: ad esempio, Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha consigliato di spezzettare il corposo piano affinché, da un lato, possa dare un “indirizzo” di politica economica e, dall’altro, sia “credibile” nelle misure specifiche.

Il paese ha un “bisogno drammatico” di investimenti, ha detto Letta. I capitali provenienti dall’estero si sono infatti dimezzati nel giro di un anno (da 24,7 miliardi nel 2011 a 12,5 miliardi nel 2012). E ora il momento è particolarmente complicato per invocare l’arrivo di un “ricco” forestiero: secondo diversi osservatori, l’incertezza del diritto e la selva burocratica italiana è tuttora un freno. Il recente sequestro giudiziario ai danni della famiglia Riva, proprietaria dell’acciaieria Ilva, 12 società quotate in Borsa (su 40) sotto inchiesta da parte delle procure, e le compagnie multinazionali che preferiscono risolvere i contenziosi all’estero piuttosto che negli ingolfati tribunali italiani, sono alcune criticità che rendono gli investitori guardinghi.

FQ. di Alberto Brambilla   –   @Al_Brambilla

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