La sposa infedele

Categoria: Firme

Francesco in flagrante adulterio con il mondo.

L’esercito angelico di Wojtyla e la cattedra razionale di Ratzinger sono solo un ricordo. L’ospedale da campo gesuita ha una sua bellezza, ma non mi riguarda

“E io che me la portai al fiume credendo che fosse ragazza, e invece aveva marito”. Bergoglio nell’intervista al giornale gesuita parla della Casada infiel, della Sposa infedele, quella che García Lorca si porta al fiume, dove “i suoi seni si aprivano come rami di giacinto”, senza immaginare che fosse un adulterio. Quando insegnava, il nuovo Papa racconta che trovò le vie per indurre i suoi allievi, curiosi della sensualità del poeta, a distrarsi in cose più serie. Ma ormai l’ha detto, la Casada infiel, e siccome è anche un lettore e seguace di Michel de Certeau, una specie di mistico Lacan dei gesuiti, l’incidente o lapsus si è irreversibilmente prodotto, almeno per quanto mi riguarda.

La chiesa cattolica è una sposa infedele. Ecco spiegata in versi la nuova chiesa povera e per i poveri, l’ospedale da campo della misericordia, delle garze e dei buoni sentimenti al posto dell’esercito angelico di Wojtyla e della cattedra razionale di Ratzinger, due dimensioni temibili che hanno spossato e minacciato la contemporaneità. Il richiamo è grandioso: bisogna far rivivere la pietà cristiana di cui si erano perse le tracce nelle ultime guerre razionali, e sulla scia del compagno di Ignazio, Pierre Favre, occorre puntare al rafforzamento dei corpi e alle guarigioni di ciascuna delle loro parti molto più che non alla salvezza delle anime o alle virtù. Ora il Vangelo si erge contro la dottrina. Quel libro bellissimo e selvaggio, che è anche un memoriale misterioso e confuso, quel libro che da venti secoli cerchiamo di spiegarci, perché la semplicità è difficile a farsi, diventa la febbre di bene e di comprensione umana contro il cinismo catechistico della dottrina, contro i piccoli precetti.

Il mondo ha processato e condannato la chiesa cattolica e il pensiero cristiano, la chiesa lo assolve. Che trovata geniale, che uovo di Colombo. Non solo lo assolve: mutua i suoi mezzi, ci trascina evangelicamente verso un soggettivismo modernista di tipo antico, verso la sua radice, verso la morale dell’intenzione. Non sono affatto scandalizzato, e resto un papista convinto, un ammiratore curioso del relativismo dei gesuiti, del loro discernimento, ma le mie ferite non sono curabili nel suo ospedale. Non è che io non creda, questo lo vedremo al momento giusto che nessuno sa mai se e quando verrà: è che non affetto di credere o di non credere. Non chiedo ancora perdono per i miei peccati, non sono ancora contrito, capiterà ma non adesso, c’è tempo. La mia devozione per il cristianesimo e per la chiesa non viene dall’animo privato, dalla fede o dalla prospettiva di una benevola confessione e assoluzione bensì, come detto e stradetto, dal posto delle idee e della cultura cristiana nello spazio pubblico e dall’uso teologale che gli ultimi due papi prima di Francesco avevano fatto della ragione umana, come una quarta virtù dopo la fede la speranza e la carità.

Il gesuita che obbedisce a se stesso, il relativista che conta sul quarto voto, ha preso tutt’altra direzione. Chi è lui per giudicare i fornicatori? Chi è lui per dire che l’aborto è un omicidio e il matrimonio una cosa seria?

Sono cose ovvie, almeno per i figli della chiesa, come non si stanca di ripetere il nostro Bergoglio, magari come ieri ai ginecologi. Non sono ovvie per il mondo extra muros? Pazienza.

Ora la chiesa si fa figlia del mondo, e il suo adulterio sentimentale è sotto gli occhi di tutti. Gesù è un avvocato delle nostre debolezze, come ha detto Francesco in un Angelus, e il peccato esiste solo per essere cancellato da una penitenza che, non sia mai, per la carità, deve esprimersi in una confessione benigna, in una emersione di ciò che sta sotto anziché in un giudizio dall’alto dei cieli, ultima vittoria della psicoanalisi. Il Papa gesuita con il saio usa argomenti illustri, impiega modi bruschi e liturgie eversive che non mi dispiacciono affatto, non ha la dolente mondanità di un cardinal Martini, e ha buoni motivi per comportarsi come si comporta: dopo i fasti del guerriero (Giovanni Paolo II) vennero gli anni in cui il gigante teologo (Joseph Ratzinger) fu piegato e piagato, e messo in ginocchio dal mondo, che gli aveva abbattuto le mura della chiesa con storie di pedofilia del clero e di orchi e streghe, fino al gran rifiuto. Francesco ha l’irruenza della hispanidad latinoamericana, è una rumba sudamericana presa dalla fine del mondo, uno così se ne fotte dei drammi novecenteschi dell’Europa polacca e bavarese espressa dalla cultura dei predecessori, se proprio deve trovare una fonte la troverà nella Parigi del Cinquecento, a Montmartre, dove fu fondata la Compagnia di Gesù.

Il suo problema non è il Concilio Vaticano II e nemmeno il dopo Concilio. Queste cose le sbriga in due parole. L’ospedale di Francesco è un’altra costruzione ancora. E’ una cosa viva, è una risposta politica, è un tentativo lodevole, scandaloso ma ammirevole, di sopravvivenza. Per questo l’infedeltà di Francesco a me piace, in un certo senso. Io però sono un laico, a me interessa una ragione completa del suo mistero, non il vangelo come santa e sublime filastrocca; e finalmente vediamo all’opera gli atei devoti veri, quelli che la chiesa va bene se amministra la fede, concede ai sentimenti politicamente corretti e lascia in pace la ragione più o meno illuminata. E’ anche una bella soddisfazione. Quest’uomo energico e scaltro libera la coscienza inquieta dei peccatori, perché è furbo come egli stesso afferma, ma al tempo stesso ributta il diavolo tra le gambe dei contemporanei, perché l’ingenuità non gli manca. Spero che il gesuita sappia regolarsi come una volta i confessori dei re e i casuisti e i grandi missionari: spero si ricordi del fatto che la chiesa perdona, il mondo no.

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Giuliano Ferrara