Il merito è crescita. Anche stabilizzare

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 i dipendenti pubblici mina la tenuta dei conti

Soprattutto ora che il governo ha rivisto al ribasso le stime di crescita per questo e per il prossimo anno, contestualmente a un aumento del deficit (di un decimale oltre il 3 per cento nel 2013), la Pubblica amministrazione non può essere un bancomat elettorale. Il decreto per la stabilizzazione dei precari rappresenta un passo indietro sia rispetto allo sforzo di revisione della spesa, sia rispetto al tentativo di riformare i processi produttivi pubblici in senso meritocratico. Per questo bisogna augurarsi che gli emendamenti presentati ieri dai senatori Pietro Ichino e Linda Lanzillotta a nome di Scelta civica vengano approvati senza esitazione. Essi vanno a correggere gli elementi più distorsivi del decreto: la sanatoria generalizzata dei precari, la proroga di graduatorie dove il tempo d’attesa conta più delle competenze, la rinuncia alla mobilità interna alla Pa, il salvataggio dei dipendenti in esubero di enti e società pubbliche presso altri organismi pubblici, e l’incomprensibile soppressione della Civit, l’ente incaricato di valutare le performance degli uffici pubblici.

Far funzionare la Pa è il terreno ineludibile su cui si gioca la partita della competitività e della crescita. Tutte le statistiche internazionali mostrano che la scarsa efficacia ed efficienza nella produzione dei servizi pubblici sono una zavorra ancora più pesante della stessa pressione fiscale. Ciò dipende principalmente dalla cattiva organizzazione del lavoro. Se non cambiamo subito indirizzo, ogni altra fatica rischia di rivelarsi insufficiente. Ogni segno di cedimento peraltro rafforzerà le resistenze conservatrici all’interno della Pa. E’ imperativo fermare questa deriva. FQ. 22/9