Senza riforme è dura vendere corporate Italia

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Difficile persuadere gli Usa che il Paese, schiacciato da

burocrazia e instabilità, sia appetibile

L'Italia ha un «drammatico bisogno di investimenti dall'estero». Così Enrico Letta la scorsa settimana ha detto ciò che tutti, a Palazzo Chigi e al Tesoro, sapevano. Una verità che non è più possibile nascondere. Le prossime due settimane saranno cruciali. Mentre in Italia esplode la battaglia sull'Iva, Letta è partito per un lungo roadshow che lo porterà in giro per il mondo. La prima tappa è il Canada, la seconda sono gli Stati Uniti, poi arriveranno i Paesi del Golfo. Il tutto con un solo obiettivo: attrarre investimenti. Un compito che sembra più difficile di quanto immaginato inizialmente dal governo.

Il lancio del piano Destinazione Italia ha uno scopo preciso. Essere un volano per i viaggi di Enrico Letta e dei suoi sherpa economici. Non è ancora chiaro quale sarà l'accoglienza degli investitori stranieri, ma c'è già un programma preciso. Dal 22 al 26 settembre Letta sarà diviso fra il Canada e gli Usa. Vedrà il primo ministro canadese Stephen Harper, poi volerà a New York. Il primo appuntamento sarà il 24 al Council on Foreign Relations, uno dei maggiori think tank mondiali, per discutere della situazione italiana, ma anche dell'eurozona. Poi andrà all'Onu, sempre nella stessa giornata. La mattina successiva sarà la volta della New York Stock Exchange, la borsa americana. Letta sarà presente sul floor insieme ai trader, e assisterà all'opening bell, l'apertura delle contrattazioni. Infine, dopo la scorpacciata di finanza, il presidente del Consiglio tornerà all'Onu per l'assemblea generale.

Fino a qui c'è il programma ufficiale. Poi, ci saranno gli incontri informali. Quelli che contano, insomma. Quelli da cui Letta spera di ricavare qualcosa. Fiducia, rispetto, credibilità, idee, ma soprattutto una cosa: investimenti. C'è un debito da ridurre, c'è un barlume di crescita da sostenere, c'è un patrimonio pubblico fatto di beni non strategici da dismettere. Senza investimenti, non ci sono soluzioni che possano rendere sostenibile la situazione italiana.

Ecco quindi perché Letta incontrerà la finanza che conta. A margine degli eventi istituzionali, il presidente del Consiglio andrà a Bloomberg, l'agenzia di stampa finanziaria i cui terminali sono nelle sale trading di quasi tutte le grandi banche d'investimento. Ma le vere chicche sono altre. In primis una colazione informale con il segretario del Tesoro Jack Lew. Oltre che tranquillizzare Lew sull'evoluzione delle riforme strutturali di cui ha bisogno l'eurozona per uscire dalla sua crisi peggiore, Letta farà anche il punto su cosa sta accadendo in Italia. Il tutto con l'obiettivo di poter ricevere una sponda, specie sotto il profilo dei capitali. Proprio per questa ragione ci sarà una cena fra Letta e diversi businessman e banchieri statunitensi. Una volta terminato il giro a New York, toccherà al Golfo persico. Anche in questo caso, si spera che i sauditi siano magnanimi con l'Italia e decidano di aprire il borsellino.

Le aspettative di Palazzo Chigi sono elevate. «Crediamo che si sia fatto tutto il possibile per organizzare un roadshow nei minimi dettagli e, almeno per quanto riguarda il Nord America, ci sono state ottime risposte iniziali», spiega a Linkiesta un funzionario governativo italiano. L'ottimismo c'è. Non può essere altrimenti. Ma ci sono anche diversi quesiti che non hanno ancora risposta. La strategia di Letta qual è? Attrarre investitori o svendere alcuni dei gioielli dell'Italia? «Ovviamente vogliamo massimizzare il profitto, ottimizzare i tempi, raggiungere il massimo possibile», spiega il funzionario. Eppure, «il rischio di un flop esiste per ogni evento, per ogni avvenimento», continua. Ed è vero.

La scelta di Enrico Letta lascia in effetti un po’ di amaro in bocca. Due i motivi. Il primo è la tempistica. La Federal Reserve non ha ancora deciso di dare il via all'exit strategy del Quantitative easing in terza versione, complice la presenza ancora notevole di squilibri macroeconomici, specie fra le economie sviluppate e quelle emergenti. Se è vero che c'è molta liquidità nei mercati finanziari, è altrettanto vero che questa è allocata in modo non omogeneo. Gli Emergenti stanno cercando di proteggersi dalle mosse della Fed, ma anche da loro stessi. Ecco perché sono così restii a investire nella zona euro, e in particolare in Italia.

Non giova, a livello temporale, nemmeno l'attuale scontro sull'Iva. Mentre Letta stava volando verso il Canada, il suo ministro delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, rilasciava un'intervista al fulmicotone al Corriere della Sera, preannunciando le sue dimissioni proprio per via dell'Iva. È chiaro a chiunque che l'attuale esecutivo vive in un regime di crisi costante. La natura stessa del governo Letta è derivazione delle sofferenze della politica italiana. Ma gli investitori che incontrerà Letta si curano poco del chiacchiericcio politico. Anzi, più ce n'è più è difficile che decidano di evitare qualsiasi mossa fino a quando non ci sarà una stabilità politica più significativa.

C'è poi il secondo motivo per cui il roadshow di Letta risulta essere strano. Per andare in giro a vendere un bene, devi almeno avere quel bene e controllare che ci sia qualcuno che sia disposto a comprarlo. È la base dell'economia: domanda e offerta. Quando Mario Monti andò in giro per il mondo, ovvero nei primi sei mesi del suo mandato, lo scopo era quello di ridare fiducia agli investitori, in modo che tornassero a comprare i bond italiani. Un lavoro che, grazie soprattutto alla tenacia della Banca centrale europea, è stato portato a compimento. Ciò che invece deve fare Letta è diverso. Deve dimostrare che l'Italia non è più quel Paese nel quale la burocrazia frena le imprese, il fisco uccide le società ancora prima che nascano e l'instabilità politica permanente è il più grande ostacolo alle strategie d'investimento. Ma cosa può offrire l'Italia in questo momento, se non una rivisitazione dello stesso scenario - incerto e vacillante - visto negli ultimi anni? Poco o nulla di interessante.

Twitter: @fgoria, Linkiesta, 23/9  Fabrizio Goria

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