La retorica della stabilità. La farsa

Categoria: Firme

dell’Italia in pericolo ben si tiene col centrismo dei piccoli

Dopo “l’ampia fiducia al governo Letta” la Borsa di Milano ha chiuso in positivo (+0,68 per cento), in controtendenza sugli altri mercati, e lo spread che doveva travolgerci si è accucciato poco sopra i 250 punti. Detto in termini politici: la retorica della stabilità che ha tenuto a bagnomaria per giorni il governicchio dei giovani, affinché non si buscasse un raffreddore, e che è stata la melassa addensante del discorso di ieri di Enrico Letta al Senato, non è nulla, è solo retorica. O meglio finzione, parodia usata ad arte di difficoltà vere, che nel passato ci possono essere state. Nel 2011 lo spread e la tempesta finanziaria sono stati una tragedia, e hanno davvero buttato a terra un governo. Oggi sono una farsa, utile alla sopravvivenza di un governo artificiale. Scrivevamo ieri, sulla scorta del Wall Street Journal, che il vero problema per l’Italia non è la “stabilità”, ma la mancanza di riforme. Oggi che la politica è tornata “stabile”, ne abbiamo la conferma.

I giornali di oggi titoleranno sulla vittoria di Enrico Letta e sulle meravigliose sorti e progressive che aspettano il suo vice Angelino Alfano, i salvatori dell’Italia. Quando si sarà abbassato il polverone, si potrà misurare che cosa siano davvero in grado di fare i dioscuri del neocentrismo che oggi appaiono trionfanti. I discorsi pronunciati dal premier nelle Aule del Senato e della Camera non sono usciti dagli schemi di un imparaticcio, infarciti delle consuete vanterie su quel che si è fatto (davvero poco) e dall’elenco inesauribile di quelle da fare, messe in fila senza indicazioni effettive di priorità. Naturalmente non sfugge che se la prospettiva dei vincenti appare così evanescente e mimetica, ma è comunque vincente, significa che le altre ipotesi alternative si sono dimostrate ancora più deboli.

In realtà quello che è accaduto è l’emergere di una convergenza ministeriale in cui si sono collegati elementi programmatici, aspirazioni riformiste, volontà o velleità di protagonismo. Il governo è più unito, ma più separato e distante dalle forze politiche che lo sostengono in stato di necessità, come ha confessato sinceramente Silvio Berlusconi e negano insinceramente i dirigenti del Partito democratico. L’ipotesi di trasformare la pacificazione tra diversi che restano tali e si preparano a confrontarsi su piattaforme alternative, com’era nel disegno originale di Giorgio Napolitano, nella costituzione di un blocco centrista che nega le ragioni stesse della democrazia dell’alternanza rappresenterebbe una regressione, non uno sviluppo del sistema politico. Non è un processo irreversibile, in realtà i tentativi centristi negli ultimi vent’anni non hanno ottenuto consenso popolare e non hanno lasciato segni politici rilevanti. Ma resistono impavidi, sostenuti e imbellettati, anche, dalla retorica della stabilità. FQ, 3/10