Manovre in Senato. Tutti quelli che fanno

Categoria: Firme

la festa alle larghe intese troppo inconcludenti

Il piagnisteo sindacal-confindustriale e il lucido scetticismo di Münchau sull’immobilismo di Letta, Pd e Pdl

Dopo il via libera di ieri da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Legge di stabilità comincerà oggi in Senato il suo iter di approvazione parlamentare. Ma per il presidente del Consiglio, Enrico Letta, non si può dire ancora che la fase più complicata della manovra finanziaria sia alle spalle. E non soltanto perché i parlamentari vorranno dire la loro sul testo che nel frattempo è al vaglio della Commissione europea. Cgil, Cisl e Uil hanno convocato uno sciopero nazionale di 4 ore nel prossimo mese. Ciò che Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti imputano al governo è soprattutto una mancata riduzione sostanziosa del carico fiscale per i lavoratori, più volte annunciata dal governo negli scorsi mesi. Il riferimento è ai circa 15 euro mensili che, nella migliore delle ipotesi, andranno a rimpinguare la busta paga dei lavoratori. Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria, ha minimizzato sulla protesta sindacale (“non è uno sciopero di dimensioni apocalittiche”), poi però si è schierato di fatto con i rappresentanti dei lavoratori nel criticare “una Finanziaria che sicuramente ha ampi spazi di miglioramento”. “La mancanza di coraggio non è degli imprenditori, ma del governo che non ha ritenuto di mettere mano a un’importante revisione della spesa pubblica”, premessa di qualsiasi riduzione delle tasse. Ieri sempre Squinzi, mentre auspicava che l’esecutivo possa durare fino all’Expo nel 2015, ha sfoderato toni simil-grillini, mettendo in guardia dalle “solite porcate, di cui abbiamo larga esperienza nel passato”, da parte del Parlamento.

Sui possibili emendamenti a favore dei molti “interessi particolari” ha puntato il dito, dalle colonne del Financial Times, anche l’editorialista Wolfgang Münchau. Il direttore di Eurointelligence, diventato celebre in Italia per le sue puntute critiche rivolte all’esecutivo quando Mario Monti era presidente del Consiglio, torna a occuparsi del nostro paese. E arriva al punto di rivalutare (un po’) il professore della Bocconi per criticare l’attuale stallo riformatore della grande coalizione. L’esecutivo impegna 2,5 miliardi di euro nella riduzione del cuneo fiscale? “Per colmare la differenza con la Germania servirebbe una riduzione di 20 volte tanto”, scrive. Perlomeno se si accetta il paradigma rigorista merkeliano, che a Münchau non piace ma che la cancelliera sembra pronta a rafforzare, visto che dalla bozza di conclusioni del vertice Ue di giovedì e venerdì emerge la volontà di “aumentare il livello di impegni e applicazione delle riforme economiche”, attraverso “contratti” per le riforme e più poteri di controllo alla Commissione. Münchau è d’accordo con Monti, con la Legge di stabilità si è “persa una grande occasione per le riforme”. Colpa di una grande coalizione atipica. Da una parte “i Democratici di Letta, uno degli ultimi partiti socialisti europei mai riformatisi”, che sostengono il rispetto del tetto del 3 per cento al rapporto deficit/pil ma poi si oppongono ai tagli necessari per liberare risorse. Dall’altra il Pdl che “si oppone a inasprimenti fiscali sulla ricchezza, sulla proprietà e sui consumi”. Ergo, il governo “ha scelto la sottomissione fiscale (agli accordi europei, ndr) e zero riforme”. Senza crescita in vista, “il governo raggiungerà i suoi obiettivi di risanamento solo attraverso una combinazione tossica di austerity e trucchi contabili”.

Le uniche notizie lievemente più positive, per Letta (e non solo), ieri sono arrivate dall’Eba. Il rapporto dell’Autorità bancaria europea che fissa gli standard per calcolare le sofferenze bancarie, in vista della Asset quality review della Banca centrale europea, sembrerebbe non penalizzare gli istituti di credito italiani, da sempre sottoposti a standard più rigorosi – sotto questo aspetto – da parte di Banca d’Italia. Il condizionale è d’obbligo, ancora in queste ore l’Associazione bancaria italiana (Abi) sta analizzando il rapporto. Secondo gli analisti sentiti dal Foglio, l’Eba si starebbe adeguando però agli standard di Palazzo Koch almeno sul calcolo “lordo” dei crediti deteriorati, senza “nettarli” con la garanzie a disposizione degli istituti come avviene in altri paesi. Banche che risultassero meno malconce alla prova dell’esame Bce, si troverebbero in condizioni lievemente migliori per ricominciare a erogare prestiti.

FQ. di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 22 ottobre 2013 - ore 06:59