Muro attorno a Berlino. Dal super-export alla moneta,

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dal Datagate alla Siria, così Stati Uniti e Germania si fronteggiano

Proviamo a mettere in fila alcuni fatti dell’ultimo mese. Prima la Germania offre asilo politico a Edward Snowden, l’inventore del Datagate. A fine ottobre un rapporto del Tesoro al Congresso americano critica in modo esplicito e duro la Germania per gli ingenti surplus nella bilancia dei pagamenti e dichiara che, essendo la moneta sottovalutata rispetto ai fondamentali dell’economia, ne deriva uno squilibrio che porta diffusi effetti recessivi nel continente. In contemporanea il vicedirettore del Fondo monetario internazionale chiede alla Germania di impegnarsi, con autonoma decisione, a ridurre il proprio saldo commerciale. Ai primi di novembre la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi – con l’opposizione di tedeschi, olandesi e austriaci – dimezza i tassi, già allo 0,50 per cento: le critiche in Germania si levano con forza. Nei negoziati tra Cdu-Csu e Spd per la formazione del governo si affaccia l’ipotesi di introdurre referendum su decisioni provenienti dalla Unione europea che implichino cessioni di sovranità o nuovi finanziamenti a istituzioni comunitarie (o ad altri stati: Eurobond): di fatto un modo per sancire la posizione speciale della Germania soprattutto a fronte di potenziali slittamenti nelle alleanze comunitarie (insofferenze mediterranee). La Commissione infine pone sotto esame il surplus tedesco che dal 2007 corre sopra il 6 per cento del pil – la soglia che, ove superata per tre anni, fa scattare la procedura d’infrazione.

Sono tutti eventi collegati in sequenza, in quanto partecipano al medesimo campo di tensione: lo scontro sulle politiche finanziarie e di bilancio che contrappone i due stati con le economie più forti dell’occidente in merito ai modi per fronteggiare una crisi che non riesce a finire (siamo entrati nel settimo anno). Da un lato iniezioni di liquidità sempre più ingenti (Giappone e Gran Bretagna accanto agli Stati Uniti), dall’altro strategie di austerità i cui effetti cumulandosi si appesantiscono: dal piano tecnico la questione deborda ormai in ambito politico e intensifica le divisioni che separano gli stati dell’occidente. La supremazia tedesca mantiene sotto traccia in Europa le divergenze di interessi fra le aree regionali dell’Unione, ma le tensioni fuoriescono in modi diversi: insofferenza sociale, logoramento dei partiti con caratura di governo, crescita delle spinte secessioniste (Catalogna, Scozia, Groenlandia), eterogeneità delle iniziative internazionali condotte dagli stati europei (protagonismo militare  della Francia, ripiegamento inglese). Gli Stati Uniti, indeboliti dai contrasti economici con gli alleati, accentuano il proprio stallo strategico che già patisce le conseguenze dell’irenismo stile Chicago di Barack Obama. Le aree di tensione e i motivi di scontro aumentano: multipolarismo  appare in molti casi un nome colto per il disordine.

La divergenza politica sulla terapia anti-crisi innesca tre filoni di conseguenze di vario segno. In ambito economico si notano: la restrizione – modesta – che da due trimestri marca il commercio internazionale; la difficoltà di decollo delle iniziative per la costruzione di grandi aree commerciali tanto sul versante atlantico quanto sul versante del Pacifico; la prevalenza di accordi bilaterali, più facili da gestire in termini politici e più convenienti per gli stati predominanti, che però alla lunga si sovrappongono e portano complicazioni.

In ambito politico si oscurano i rapporti con Russia e Cina, le grandi potenze di stampo autoritario verso le quali nei vent’anni e più seguiti al 1989 Europa e Stati Uniti hanno tenuto posizioni e comportamenti oscillanti, spesso incerti, talora contraddittori. La divaricazione di politica economica si avverte come differenza strategica: verso la Cina, che detiene pur sempre ingenti quote del loro debito pubblico, gli Stati Uniti – anche se vincolati – rimarcano un profilo di contenimento militare, mentre la Germania insiste sui comuni interessi in quanto grandi esportatori (con forti surplus); alla Russia gli americani continuano a negare quello status di potenza che Mosca ritiene connaturato per storia e forza militare, mentre l’Europa fluttua tra amicizie energetiche a geometria variabile e allargamenti ostili (Ucraina per ultima). Gli esiti di questa sconnessione sono drammatici: vertiginosi rovesciamenti di alleanze che travolgono amicizie secolari e barriere ideologiche radicate nei libri sacri (come si vede tra la costa siriana e l’Iran), difficoltà a chiudere le crisi regionali, ruoli di pivot strategici assegnati a partner inediti (Vaticano e Russia).

La terza e ultima conseguenza è un’ondata di inventiva geopolitica: il logoramento o lo stallo indotti dalla crisi e dalla rigidità dello scontro fra le ricette pensate per superarla spingono a cercare nuove strade: privato di vincoli strategici forti, il sistema dei rapporti fra stati lascia campo a opzioni evolutive fuori dagli schemi consueti. In Europa, di fronte a un’architettura dell’Unione squilibrata a sostegno della supremazia tedesca, prende forma con Romano Prodi l’idea di un’alleanza latina che dia consistenza a un indirizzo strategico di respiro ampio: in ciò sembra riecheggiare il progetto dell’Imperium latino lanciato nel 1945 con impeto visionario da Alexandre Kojève, grande esegeta hegeliano e alto funzionario francese del Commercio estero (strenuo negoziatore di Trattati e forse spia del Kgb). In Asia ritorna la contesa per il grande spazio centrale del continente, il suo cuore strategico, che già dal X-XI secolo dettava il ritmo di sviluppo delle civiltà eurasiatiche. La Turchia riscopre la sua funzione di ponte geopolitico e sogna di usarla in chiave neo-ottomana.

Dopo gli sconvolgimenti dell’89, l’ascesa cinese e i cataclismi connessi allo sviluppo della finanza su scala mondiale, si schiude un ulteriore ciclo di trasformazioni: assetti strategici deboli sono riorganizzati, si intravedono nuove linee di forza e cominciano inedite connessioni (si parla di alleanza latina mentre il Vaticano contribuisce a riconfigurare il vicino oriente). Da oltre un terzo di secolo è avviata la rivoluzione digitale, da pochi anni si è scatenata l’innovazione energetica: la potenza trasformatrice della tecnologia sembra avere in serbo altre dirompenti sorprese.

di Antonio Pilati, FQ, 20 novembre 2013 - ore 06:59